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GILL  "Chi ha ucciso Luigi Tenco? "
   (2014 )

In Sicilia, più precisamente a Catania, a metà strada fra cantautorato e pop rock, si incontra Gianluca Gilletti, in arte Gill. A metà strada fra rabbia, punk e poesia c’è “Chi Ha Ucciso Luigi Tenco?”, album del cantautore classe 1981. Effettivamente il disco è una sorta di indagine, il cui oggetto non è la ricerca dell’assassino dello storico cantante italiano, morto – anche se qualcuno ha sempre sollevato dubbi – suicida. L’indagine è più che altro sulla realtà che ci circonda, sul mondo e sui suoi problemi. Gill è in grado di incarnare una sorta di sintesi fra Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori, Andrea Appino degli Zen Circus e Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP Fedeli alla Linea. Se musicalmente rimanda a quel cantautorato che abbraccia melodie rock de “Il Testamento”, primo e unico album da solista del frontman degli Zen Circus, i temi e lo stile ricordano un po’ gli altri succitati artisti. E si sa, d’altronde, scegliersi una fonte d’ispirazione è già sinonimo di talento. Dopo l’apertura, con una crociata contro l’abuso sfrenato delle tecnologie, e “La Vie en Rose”, che non è una cover della celeberrima canzone scritta da Edith Piaf e portata al successo – fra gli altri – da Louis Armstrong, si passa a “Scusami”, brano incazzato e piacevole, fra i migliori dell’album. Potrà - inoltre - riportarvi alla mente “Curami” dei CCCP. Gill propone nell’album questo brano con cui s’era messo in luce al concorso nazionale “Musica vs Mafie”: i continui riferimenti a Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e altri grandi uomini uccisi dalla mafia, denotano grande sensibilità da parte di un ragazzo che ha compiuto la scelta coraggiosa e difficile di includere un tema così delicato in quest’album. E' sempre un bene quando artisti che non possono contare su un seguito molto largo, perché magari non hanno ancora sfondato, antepongono la profondità dei testi e l’originalità del sound alla ricerca di meri prodotti commerciali, che permettano l’ingresso in quella scena musicale in cui è facile il guadagno, ma infima la qualità. Per cui l’album risulta essere gradevolissimo, può contare su pezzi di qualità superiore, come “L’Ultima Repubblica”, altro bel testo di denuncia celata sotto un sarcasmo mai fuori luogo o violento (“Andiamo a votare, ché questa è l’ultima Repubblica!”). C’è la malinconia di chi osserva la realtà di un’Italia che vive uno dei momenti più difficili della sua storia, c’è la presa di coscienza di chi capisce che le nuove generazioni possono rappresentare la rinascita del Bel Paese; ma, soprattutto, c’è tanta buona musica nei quaranta minuti scarsi di un album molto, molto convincente. (Piergiuseppe Lippolis)