recensioni dischi
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STEFANO GIACCONE  "Aria di festa"
   (2014 )

Stefano Giaccone, classe '59, dopo aver suonato una vita intera in storiche rock band come Kina, Environs, Orsi Lucille, Howth Castle, La Banda di Tiro Fisso, Yuan Ye, e lavorato perfino accanto a drammaturghi come Peter Brett, sforna “Aria di festa”, un album che è una sintesi di tutte le sperimentazioni che lo hanno accompagnato nella sua crescita musicale attraverso generi diversi come rock, jazz e punk. Nato a Los Angeles, si trasferisce a Torino a 7 anni e a 14 già suona chitarra e sassofono. Porta la sua musica in Germania, Svizzera, Spagna, Norvegia e Gran Bretagna e, tornato in Italia, fonda i Franti, con i quali incide la bellezza di 13 lavori tra cd, cassette, Lp e compilation. E' dall'89 che inizia a sperimentare un proprio sound, che già si sentiva nel suo primo lavoro di questa fase "Ne’ un uomo ne’ un soldo", e dal '95 in poi pubblica 14 dischi. Il 22 Marzo 2014 è uscito “Aria di Festa”, un album contenente undici brani, di cui alcuni relativamente brevi, che seguono più o meno tutti una stessa struttura. Tenera la prima traccia “Late Ripeness”, che non è altro che la prima strofa dell'omonima poesia del noto poeta polacco Czeslaw Milosz, nel disco recitata da un bambino in versione inglese, accompagnata da un dolce sottofondo musicale acustico. Una vera e propria introduzione ad un viaggio tra svariati sentimenti senza tempo. Tanta importanza ai testi, ben scanditi dalla voce pulita e ben cadenzata di Giaccone, accompagnati da una musica in stile minimal e chitarre elettriche e acustiche che si intrecciano su una linea di basso che spesso suona da solo, il tutto accompagnato da ritmi base di batteria che si limita a portare il tempo senza troppi abbellimenti, per restare vicino allo stile del cantautorato italiano. Testimoni di queste scelte sono le atmosfere soft di “Tempo inutile”, dal sound melodioso e solare, al reggae de “Il giardino dell'ossigeno”, titolo che appartiene anche all'album che Stefano già pubblicò nel 2010, e “Quante belle canzoni”, dedicata al padre perso circa 5 anni fa. L'energia del rock si sprigiona invece in “Il libro nero”, suonata con la sola chitarra acustica, e di “Andata per davvero”, dai toni più melodrammatici. Non mancano tracce di country evidenti in “E' Adesso”, cover di “When I'm gone” del cantautore statunitense Phil Ochs, resa leggermente più energica rispetto all'originale e abbellita con suoni ad effetto steel guitar tipici proprio del country. L'album si conclude con “La stanza vecchia”, il brano più lungo (circa 8 minuti) che funge da titoli di coda o meglio da saluti finali: come gli attori alla fine di uno spettacolo si inchinano al pubblico, gli strumenti presenti in tutte le canzoni esibiscono proprie melodie in questo brano che avvisa l'orecchio musicale occidentale che si tratta di un epilogo. Canzoni che sono riflessioni sull’inutilità e la vecchiaia, storie e ricordi che scorrono con una patina di nostalgia tra canzoni dal suono intrigante, portatrici di scorie post e indie-rock, parti di un album che è sintesi della sua carriera musicale e che porta con sé ancora tracce dei Franti e dei Kina, riproposte in una versione di certo più matura ma comunque ancora presenti dopo anni, il che sottolinea quanto Stefano sia rimasto coerente con la sua natura di rocker. (Tonia Cestari)