recensioni dischi
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GABRIELE BELLINI  "30 years (1984-2014)"
   (2014 )

Gabriele Bellini per molti non ha bisogno di presentazioni. A coronamento della sua trentennale carriera, pubblica, sotto l’etichetta Qua Rock Records, un disco chiamato, appunto “30 Years”, una sintesi della sua carriera che l’ha visto autore di lavori sempre di alto livello, qualunque fosse il genere trattato. E, di conseguenza, il livello è alto anche nella raccolta “30 Years”: diciotto brani che scivolano via veloci, fluidi, di un’intensità tale da non dare minimamente l’idea della lunghezza complessiva, diciotto brani in grado di spaziare dalla sensazione d’essere al centro d’un moshpit, a dar spallate ed a scuotere una lunga chioma spettinata, a quella di una carezza, di un romantico inno alla pace e alla spensieratezza. Il rock, in tutte le sue immense sfaccettature, è qui preso, vivisezionato e analizzato, diventando contemporamente oggetto d’indagine e risultato di quel piccolo miracolo chiamato “30 Years”. Perché Bellini è in grado di farci viaggiare nella business class della musica, di farci dormire in un albergo extralusso, mentre ci rapisce e ci porta ad esplorare in diciotto passaggi quel fantastico mondo chiamato rock. L’apertura soft non inganni: “Endangered” è una lunga cavalcata attraverso virtuosismi metal e distorsioni da impazzire, è dare valore ad un genere troppo spesso bistrattato da chi giudica senza ascoltare. Se con “Chemical Restless” si rimane in atmosfere metal, con “Velociraptor Android” ci si sposta in territori più prog. Dopo un alternarsi di fasi punk e, nuovamente, hard ‘n heavy, si vola verso un brano dall’incedere quasi epico: “Primitive” è un momento di transizione dopo una fase aggressiva, giocata fra riff martellanti ed elaborati, un pezzo quasi cinematografico. Prima di “D.R.O.C.”, traccia dal sound particolare in cui Bellini dimostra, una volta di più, una tecnica sopraffina, c’è spazio per una dolce digressione folk: “World Breath”. Quindi nuovamente prog molto seventies con “Ecstasy”, ritorno ai confini del metal con “Rush Undertaking”, in cui persino il titolo restituisce l’idea del ritmo forsennato che questo pezzone possiede nei suoi sette minuti di durata. Una nuova parentesi un po’ più pacata, un po’ più folk, “Sad Princess” si colloca immediatamente dopo il primo pezzo in italiano, “L’Isola di Niente”, in cui è, tra l’altro, ottima la batteria. Se “L’Equilibrio” è un caldo momento ancora prog, in cui gli assoli irrompono come fulmini in un cielo grigio e coperto, in “Albatross” si entra in un mondo magico. Sono due brani straordinari. Il secondo è la “Maggot Brain” di Bellini. Più che psichedelia, proprio come il brano dei Funkadelic, è magia in musica. Degna chiusura è “Fears Away”. Siamo di fronte ad un disco semplicemente stratosferico. La perizia tecnica di Bellini viene fuori in diciotto brani in cui i momenti metal sono di un livello elevatissimo tanto quanto quelli folk e quelli punk. Non è un album per tutti, ma è ciò che tutti i veri appassionati di musica, gli amanti del rock sapranno non semplicemente apprezzare, ma amare. (Piergiuseppe Lippolis)