recensioni dischi
   torna all'elenco


TETES DE BOIS  "Extra"
   (2014 )

Se in tempi di frenesia e di forzata – benché necessaria - ricerca di nuovi linguaggi, nonché di commistioni capaci di rivitalizzare generi e sottogeneri prossimi all’inaridimento, vi sia ancora per la poesia l’occasione di riservarsi la qualifica di imperitura forma d’arte, è questione da definire. Ciò premesso, cosa dire di un album come “Extra” dei Tetes de Bois, longevo collettivo apolide di musici girovaghi, artisti di strada, spiriti liberi mossi da un afflato paradossalmente popolare ed elitario al contempo? Potrei forse romanticamente affermare che l’aspetto che più gradisco di questo disco – omaggio sublime ad un astro mai spento - è l’amore. L’amore ed il rispetto – va precisato – per l’arte e per il mito. Un mito forse controverso e circoscritto, quello di Léo Ferré, ma pur sempre un mito: figura in bilico tra luci ed ombre, contestazione e lirismo, a vent’anni dalla scomparsa l’artista francese viene sontuosamente omaggiato dai Tetes de Bois con un album interamente costituito da sue composizioni, alcune delle quali tradotte in lingua italiana, altre adattate da versi di Rimbaud, Verlaine e Baudelaire per i quali Ferré aveva ordito l’accompagnamento, ed una infine nella quale la band ha musicato un testo inedito di Léo offerto dal figlio Mathieu. Lavoro al quale è sotteso uno sforzo di studio e di ricerca la cui maestosità travalica addirittura la gloriosa resa dell’opera, “Extra” è il frutto di due anni di appassionato impegno nel voler nuovamente affrontare Ferré (lo avevano già fatto nel 2002) da un punto di vista tanto personale quanto fedele all’anima del bardo francese. Musica sì soave, ma – ed è l’aspetto che gradisco meno – anacronistica, non nella forma (o non del tutto), non nella sostanza (la poesia non invecchia), bensì nell’idea stessa che l’ha ispirata: benché animato da un’improba operazione di scavo e revisione, “Extra” sceglie di veicolare la poesia per il tramite di un verboso romanticismo latu sensu, che si cristallizza sì nella trasposizione di mirabili composizioni, ma che rischia di fossilizzare pagine memorabili in una cornice testamentaria. E proprio un’aura da atto definitivo appesantisce talora queste perle d’altri tempi, offuscate giocoforza da una patina vieux temps che nemmeno sapienti – e modernizzanti – arrangiamenti come quelli finemente cesellati dai Tetes de Bois possono contribuire a rimuovere del tutto. Ogni nota, ogni verso, ogni rifinitura suonano sì deliziosamente toccanti, ma sembrano provenire da un milieu lontano e antico, come fossero foto in bianco e nero; a nulla varrebbe citare un brano sugli altri, ma una menzione d’onore va riservata ai sette minuti de “Il mare e la memoria”, oceano nel quale affogare con un amaro sorriso, trattato di filosofia esistenziale che ricorda la grave magniloquenza dell’Ivano Fossati più riflessivo e cerebrale, una tra le molte figure che sarebbero degne di celebrazione senza scadere nel citazionismo più scontato, da Paoli a Tenco, da Brassens a De André, a – perché no – Léo Ferré. Il cui mondo, giova ricordarlo, fu enorme a tal punto da trovarsi solo in minima parte racchiuso tra le dieci (più la preziosa ghost-track live con l’indimenticato Francesco Di Giacomo) tracce di un album che rimane comunque un gioiello di intelligenza, cultura, raffinatezza e magistrale professionalità. Un gesto d’amore, un atto di rispetto, un profondo inchino ad un venerabile Maestro. “Extra” è sì un disco splendido nella sua rutilante devozione, ma questi sono i giorni di Aphex Twin e Caribou, di Sunn o))) e Parquet Courts: volenti o nolenti, tocca guardare avanti, con buona pace dei poeti, dei santi, dei navigatori. (Manuel Maverna)