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C'MON TIGRE  "C'mon Tigre"
   (2014 )

Progetto tanto intrigante quanto sorprendentemente avvolto in un misterioso alone di riservatezza, l’operazione C’mon Tigre, moniker che cela le segrete identità di un duo “aperto” di oscura provenienza ed estrazione, frutta un album di debutto sicuramente meritevole di attenzione, soprattutto in virtù della peculiare scelta stilistica che lo contraddistingue. In un registro casalingo volutamente ed ostentatamente votato ad un approccio lo-fi, si susseguono melodie suadenti dall’appeal contraddittorio, sospeso tra l’esaltazione di atmosfere raccolte e sfuggenti ed un improvvido appiattimento di picchi compositivi che meriterebbero forse di essere veicolati da sonorità meglio definite, proprio quelle che sembrano mancare a buone canzoni ridimensionate dal ricorso sistematico ad un DIY divenuto esclusivo linguaggio di elezione. A lungo andare l’esperimento lascia affiorare i suoi stessi limiti inducendo al torpore (tredici tracce ipnoticamente ripetitive per un’ora di musica), seppure per il tramite di arie che conservano intatto un fascinoso andamento sibillino ed una invitante ambientazione tra surrealismo ed etno-folk. In un caleidoscopio di disparati richiami dal sud del mondo, fra percussioni e chitarrine jazzy (la lunga “Commute” ricorda certe stravaganze minimal del Manu Chao solista), fiati sensuali (“Fan for a twenty years old human being”) ed un velo di elettronica intelligentemente asservita al risultato finale (“Rabat”), il gioco che inizialmente ammalia e coinvolge diviene forse sulla media distanza un congegno che si spegne da sé. Piacciono – è vero – il controtempo insistito del singolo “Federation Tunisienne de Football”, la remota eco di blues ancestrale portata in dote dal pianoforte lontano di “December”, il conturbante flamenco della conclusiva “Malta (the bird and the bear)”, trafitta da una tromba da brividi a lambire i Calexico, o l’insistente voce filtrata che sembra provenire dai più profondi recessi di altri mondi ed epoche: ma quella di “C’mon Tigre” è una musica sviluppata solo in minima parte (“Building society – The great collapse” è poco più di una nenia improvvisata, “A world of wonder” vaga inconcludente per otto minuti) all’insegna di un sound slegato, artigianale e balbettante, struttura aperta ed in divenire, fucina di innumerevoli potenziali divagazioni ancora inespresse ed inesplorate. Disco niente affatto straordinario come da molte parti lo si è dipinto, probabilmente neppure così geniale nella sua fosca – a tratti opprimente – assenza di frivolezza, “C’mon Tigre” è un lavoro che riesce nella pur non trascurabile impresa di risultare interessante per vie inconsuete: ciò che non può fare è reggere l’idea per un’interminabile ora senza valicare l’intuizione iniziale. Nonostante il mancato decollo, rimane tuttavia album capace di regalare in modo affatto banale momenti di straniante alterità, come fosse il soundtrack di un viaggio immaginario in una soffocante Utopia, della quale pare addirittura di percepire suoni, colori e odori con una nitidezza vividamente realistica. (Manuel Maverna)