recensioni dischi
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JESUS FRANCO & THE DROGAS  "Alien peyote"
   (2015 )

I Jesus Franco & The Drogas – moniker da cover-band del sabato sera dietro al quale si cela una formazione di spessore artistico invidiabile – nascono in terra marchigiana un paio di lustri orsono grazie a cinque musicisti militanti in altrettante realtà dell’italico sottobosco rock, esperienze eterogenee fuse in un improvvisato supergruppo d’occasione. Corroboratisi on stage ed esponenzialmente cresciuti in virtù di una costante attività live, Jesus Franco (al secolo Michele Prosperi, batterista) & soci, in una nuova line-up a quattro priva di basso, si ripresentano a sei anni di distanza dal debutto discografico (eccezion fatta per lo split del 2010 con i Satantango) con “Alien peyote”, lavoro di deflagrante, belluina veemenza interamente incentrato su una reinterpretazione tanto personale quanto selvaggia del rock’n’roll nella sua veste ancestrale. Disco che si apre infido e sornione su due minuti di drone-metal strumentale à la Sunn O))) (“Alien luftwaffe part1”) prima di tuffarsi furente in un abisso di torrido hard-blues imbastardito con boogie, psichedelia e psychobilly deviato (“Alien luftwaffe part2”), “Alien peyote” è una sarabanda stordente che ripercorre e rilegge il r’n’r in foggia psicotica, stravolgendone i canoni da una prospettiva sia waitsiana (la destrutturazione barbarica) che crampsiana (la componente lasciva). Quella dei Jesus Franco è una musica tanto scarnificata quanto monolitica, tempesta elettrica che si nutre di tenebra edificando voragini emotive in atmosfera da thriller: la bordata infernale di “Call to arms (for psychedelic punks and hopeless dudes)” dilaga sinistra al limite della cacofonia in tre minuti di pura stasi monocorde, simile per intenti alla granitica “Jesus built my hotrod” dei Ministry, mentre “Mezcal” lievita trafitta da scariche di riff fino a lambire la torrenziale malvagità dei Motorhead. E se “Helleluja” è un sabba percussivo che rammenta addirittura la “Stigmata Martyr” di bauhausiana memoria, sono gli otto minuti di “Chief Doonga” a marcare indelebilmente il territorio: mentre la ritmica esita senza mai trovare sfogo in un delirio trattenuto di strabordante intensità, un sordido pulsare elettrico che accosta Violent Femmes, Led Zeppelin e Jon Spencer accumula tensione senza mai del tutto rilasciarla, in un crescendo spasmodico che diviene quasi insostenibile. Bailamme feroce e maniacale, malsano e deviato, quello dei Jesus Franco & The Drogas è un vulgar display of power di fremente veemenza, onda tellurica che travolge e rade al suolo, raffica che impietosa falcidia senza promettere – nemmeno per un fugace istante – illusoria requie né effimera salvezza. Se vi capitasse di leggere il loro nome in cartellone un sabato sera, scordatevi di trascorrere un paio d’ore innocue, magari seduti al bancone chiacchierando con una birra in mano: l’incubo si è appena materializzato di fronte a voi, ed è tutto vero. Grandiosi. (Manuel Maverna)