recensioni dischi
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IOSONOUNCANE  "Die"
   (2015 )

Un lustro interminabile, tanto è trascorso da “La macarena su Roma”, folgorante debutto discografico di Jacopo Incani, artista sardo in bilico tra cantautorato off ed avanguardistiche suggestioni DIY, molte idee ed una istrionica via di rappresentarle in una non-musica di scomode parole infide, suoni fastidiosi, pause, rumori, voci, vocine e trucchi senza filtro. “Die”, che promette rebus fin dal titolo, opta senza remore per la resezione del cordone, gettando all’aria promesse, isteria, verve spinta e genio bislacco per ridisegnare geometrie e scenari mutando colori, panorami, temi, stile, soprattutto edulcorando il linguaggio di elezione e riscrivendo le coordinate di un percorso artistico a questo punto non più così chiaro né lineare, definibile o ipotizzabile; accade così che - non più fustigando il popolino-bue bensì involvendosi in dimensione intima - su desolato sfondo pelagico/rurale un omerico Jacopo insceni un dramma di perdita e lontananza (ma è prossimità, ironia della sorte), di solitudine e dolore, un uomo e una donna di fronte ai rispettivi destini, l’uomo solo in mare, la donna sola sulla riva, ognuno in fondo perso dentro ai fatti suoi. Trentotto minuti di una musica prosciugata – sei tracce legate in un continuum - che sfoggia tonalità gelidamente impersonali costituiscono il supporto alla narrazione, svolta per il tramite di liriche poeticamente auliche, levigate e raffinate come mai prima, un racconto per immagini il cui potere evocativo è attutito dalla peculiare scelta stilistica adottata. “Die” assume dunque le forme di una suite (un tempo si sarebbe chiamata così) agonizzante e monocorde, che di rado trova sviluppi o varia le dinamiche: laddove vorrebbe forse coniugare desolazione naturalista, dolente straniamento e stoico patire, Incani sembra rinunciare ad assecondare a dovere il concept, lasciando testo e/o eventuale metatesto orfani designati di un crescendo, di un rilascio di tensione, di uno svolgimento armonico del tema, finanche di un discorso organico che riguardi l’aspetto strettamente musicale del lavoro, guidato sì dal soggetto e dalla sua sceneggiatura, ma corredato dal tessuto sonoro in modo distonico. La tensione che la narrazione intende suggerire non ha un contraltare nella musica, e ciò ne spegne ardore e velleità, sottraendole profondità e smorzandone in parte l’impeto. Scelta coraggiosa di un artista comunque enorme tornato umano, “Die” è album valido sia per il lavoro di cesello ad esso sotteso sia per la concezione stessa di una paradossale cosmogonia di nicchia, mondo racchiuso in una spiaggia eletto a parte per il tutto, opera complessa che diviene sì ispirato simulacro della cospicua levatura del suo padre-padrone, ma che non sa (o non vuole) essere bella, smarrendo guizzi e capacità di sorprendere. Racconta – a pezzi – una storia drammaticamente vivida col tono metallico standard di un’anima senz’anima, distante ben più di cinque anni dalla disincantata brutalità che rese ineguagliabile “La macarena su Roma”. Ridestarsi accanto a “Die” è come svegliarsi a fianco di un nuovo partner: occorrono tempo ed incrollabile forza di volontà per ricominciare, per innamorarsi ancora di un altro Jacopo Incani. Quello vecchio non c’è già più, forse è proprio l’uomo che sta affogando solitario in mezzo al mare di Sardegna. (Manuel Maverna)