recensioni dischi
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THE CURE  "The head on the door"
   (1985 )

Sesta fatica discografica per la banda Smith. E si ritorna a respirare il clima di una vera band, dopo che “The top” aveva rappresentato, sostanzialmente, il frutto del lavoro del solo leader. Infatti, nonostante Smith firmi tutte le canzoni (testi e musiche), i Cure riformano un organico compatto, composto da vere e proprie parti e non da sessionmen semi/improvvisati per il disco o per i concerti. Porl Thompson, che timidamente aveva fatto il suo ritorno con l’album precedente, svolgerà da “The head on the door” un ruolo di assoluto primo piano; Boris Williams sostituisce, alla batteria, il licenziato Andy Anderson (dopo un litigio con Robert Smith, a conclusione del tour di 'The top'); Lol... beh! C’è sempre (o, meglio, ancora); ma, soprattutto, 'The head on the door' vede il ritorno di Simon Gallup, riappacificatosi con il leader, dopo gli scontri che seguirono a “Pornography”. Lo spirito di gruppo si può già intravedere dalla copertina dove, seppur sfocate, si scorgono alcune mani levate, intente a sorreggere una fiaccola (o a liberare una colomba?), a simboleggiare, comunque, un ritorno ad un agire “insieme”. “The head on the door” si può definire come l’album pop dei Cure, che ritrovato lo spirito di gruppo, favorisce composizioni più immediate e luminose. Tuttavia, nelle dieci tracce, non sarà difficile scorgere alcuni momenti più caratteristici (o se si vuole “oscuri”), richiamanti le sonorità degli album precedenti. A confermare, comunque, che 'The head on the door' è l’album più fruibile della banda Smith, l’ascolto si apre con “Inbetween days”, la pop song per eccellenza del gruppo inglese, proseguendo con il viaggio in oriente di “Kioto song”, dove la voce di Robert torna ad essere sofferta e malinconica. “The blood” ci porta, invece, all’interno di una corrida, dove fra citazioni di Cristo e del suo sangue, non si capisce se il ruolo di Smith sia più quello di toro o di torero. Ancora leggerezza (e molta atipicità) con “Six different ways”, che precede “Push”, una rock song che fa presagire future partecipazioni nelle arene. Nell’urlo del bambino di “Baby scream”, domina il basso ipnotico del ritrovato Gallup, mentre è con “Close to me” che i Cure concedono una tra le più celebri pop song del loro repertorio. In questo caso, però, a differenza di “Inbetween days”, spicca un’originalità non certo comune (si pensi anche al video claustrofobico che ritrae i componenti del gruppo all’interno di un armadio, precipitato in fondo al mare), unita ad una buona dose di pazzia. Verso l’epilogo, troviamo “A night like this” (un ripescaggio di una canzone del 1976, scritta da Smith e mai pubblicata), dove le chitarre potenti di Thompson e del leader regalano uno dei momenti più alti del lavoro. In conclusione, dopo la sconcertante “Screw” che, quasi funkeggiante, sembra strizzare l’occhio a Prince, troviamo “Sinking”, dove il ritmo viene rallentato e si riapre la porta a casa malinconia (“I am slowing down, as the years go by”). Qui, Smith e soci, tornano al top, scegliendo il dark, con un brano ipnotico che sa catturare, e toccare per la sua delicatezza. (Gianmario Mattacheo)