recensioni dischi
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JOSS STONE  "Water for your soul"
   (2016 )

Dopo gli interessanti capitoli di ''The Soul Sessions'' (2003), ''Mind, Body & Soul'' (2004) e ''Introducing Joss Stone'' (2007), nei quali i tentativi di ripercorrere le orme di Aretha Franklin e Janis Joplin, con la creazione di un mix estremamente divertente, erano palesi e anche discretamente riusciti, e dopo la parentesi blues-rock – poco riuscita, va detto – dei Superheavy, il gruppo che la vedeva front woman accanto al sempreverde Mick Jagger nel 2011, la ancora giovanissima Joss Stone tenta ora di dare nuovamente una scossa al suo percorso artistico, rivoluzionando sé stessa e le sue sonorità con un settimo album frizzante e originale. In mezzo all’enorme universo di autrici che il mondo musicale ha prodotto negli ultimi anni – St. Vincent, Grimes, Julia Holter, Fiona Apple, Joanna Newsom solo per citarne alcune – Joss Stone è l’unica che, se ha la “colpa”, rispetto ai nomi poco sopra, di non avere sperimentato a sufficienza, ha però il merito di avere interpretato magistralmente le formule predefinite di generi “classici” con una voce strepitosa e assolutamente fuori dal comune. È chiaro sin dal primo brano che la Stone vuole inserire nel suo panorama musicale nuove influenze: l’andamento reggae di ''Love Me'' e le sue percussioni africane dimostrano quanto la cantante abbia assorbito dalla world music. La Stone non rinuncia mai a divertirsi: per lei la musica è un modo attraverso cui scatenare le proprie pulsioni e urlare le proprie ragioni al mondo, un grande palco in cui esibire senza paura tutte le proprie gioie e le proprie insicurezze. ''This Ain’t Love'' mantiene il pulsare reggae e l’andamento tribale, mentre le atmosfere si fanno cupe e serie nelle sfumature vocali. La ballata ''Stuck on You'' è l’episodio pop del disco, con un ritornello orecchiabile e una performance vocale più controllata e semplice, che non rinuncia però alle atmosfere africane nei cori e nella parte strumentale che chiude la canzone. Notevole e ispirata è ''Wake Up'', che vede la prestigiosa collaborazione di Damian Marley – anche lui nei Superheavy con la Stone e Jagger - che ha composto e cantato il brano insieme a lei. È lui il principale ispiratore di tutto il progetto: qui si spiegano le radici reggae del disco. La melodia di ''Wake Up'' resta in testa dal primo ascolto e crea una piacevole eco in tutto il resto dell’album, anche perché le canzoni che seguono si mantengono quasi tutte su questa linea. ''Underworld'' sfiora persino l’hip-hop, e ricorda molto da vicino alcuni momenti di Baduizm di Erykah Badu o della Beyoncé a inizio carriera. La stessa Joss Stone, in un’intervista del maggio 2015 per Official Charts, aveva identificato questi come i primi due brani composti, dai quali poi ha preso vita l’intero progetto: "The creation of the album has been going on for a while and I certainly had no idea what was getting myself into when I started it. [...] The songs on the album ''Wake Up'' and ''Underworld'' I wrote ages ago, with no real plan of them going on a record. Then I met Damien Marley when we were working on the Superheavy stuff and we started writing songs in the spare time we had between the sessions. I developed such a strong love for reggae music". Da segnalare anche le fumose e roche chitarre blues di ''Harry’s Symphony'', dove lo strumento principale è la voce della Stone, qui ancor più prevegole che nel resto del disco. Molto bella è anche la conclusione quasi soul di ''The Answer'', che non rinuncia alle sonorità reggae e nella quale si vede la mano di Dennis Bovell, che ha aiutato la Stone nella composizione di questo brano e di un’altra traccia, ''Sensimilla''. Non si può, infine, non sottolineare la pregevole fattura degli archi, registrati dallo Urban Folk Quartet: Joss Stone aveva conosciuto i suoi membri nel 2014 durante il Green Man Festival. L’album scorre piacevolmente e si presenta come un nuovo cambio di rotta, intelligente e riuscito, della giovane cantante inglese. (Samuele Conficoni)