recensioni dischi
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ANIMATION  "Machine language"
   (2015 )

“Machine Language” è l’ultima opera realizzata dal compositore e sassofonista statunitense Bob Belden, scomparso nel Maggio 2014. In collaborazione con il suo gruppo storico, gli Animation, Belden si è interrogato sulle potenzialità delle macchine e sulla possibilità che queste siano dotate di immaginazione. È questa la genesi di “Machine Language”: è così che si spiega il titolo e anche la classificazione sotto la voce “cyberpunk” voluta proprio dagli Animation. Presenti, oltre a Clagett, Verastegui e Young, anche Kurt Elling (cantante jazz) e il bassista Bill Laswell. L’opera è avanguardistica, è filosofia della musica. Un proposito folle, sulla carta. Ma il risultato è strabiliante. È “jazz elettrico”, come è definito nel comunicato stampa, dalle atmosfere ambient e dal levare drum’n’bass. Il tutto arricchito da una sorta di narrazione curata da Belden, una lunga riflessione diluita in dodici pezzi straordinari sul rapporto fra la mente umana e quella artificiale. “Machine Language” è imbevuto di cinema e di storia del jazz, ma anche di letteratura. Come se non bastasse, si può facilmente notare come la natura di certi temi sia pure filosofica. Alla fine del discorso, Belden afferma che il superamento della mente artificiale ai danni di quella umana è solo apparente, perché l’immaginazione è una facoltà necessaria. E così, da “A Machine’s Dream” (pezzo finale), si ritornerebbe a “A Child’s Dream” (pezzo iniziale), secondo un ciclo inesorabile. Fra i migliori troviamo anche “Genesis Code” e “Dark Matter”. Ma in realtà è un disco che può essere solo ascoltato e apprezzato, è un lungo flusso di coscienza da interiorizzare. C’è poco (forse nulla) da giudicare in un’opera del genere, che, tra l’altro, è arte a 360 gradi: è l’ultimo acuto di un genio, che ha avuto un’idea pazzesca e l’ha tradotta in qualcosa di magico. Chapeau, Bob. (Piergiuseppe Lippolis)