recensioni dischi
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MIKE OLDFIELD  "Heaven's open"
   (1991 )

Ne erano successe di cotte e di crude. Un album tutto pop, “Earth moving”, che non era piaciuto nemmeno a lui, una risposta di 60 minuti strumentali su “Amarok”, disco talmente ostico da essere acclamato dai fans ma rovinato dalla difficoltà di ascolto commerciale, e la crisi con la casa discografica. Ma, se le rotture di contratti sono all’ordine del giorno, qui si parlava di un divorzio come nemmeno Albano e Romina, perché Richard Branson e Oldfield si erano amati fin dal primo giorno, nei ‘70s, e la Virgin nacque proprio per stampare lo storico “Tubular bells”. L’album che pone fine al connubio è controverso come pochi altri: intanto dall’intestazione, dove il classico “Mike” viene sostituito dal nome di battesimo per intero, Michael: un modo per discostarsene? O un modo per dire “parlo di me stesso”, tesi suffragata dal fatto che, per la prima volta, le parti vocali non erano state commissionate ad alcun vocalist, ma da lui in persona cantate? Si tornava poi alla lunga suite strumentale, mentre le popsongs erano piene di citazioni astiose verso chi era con lui in polemica (“Make make”, dove la strofa “Don’t you know you’re not Virgin” era difficile da non riferire a chi sapeva lui). Venne sbagliato forse il singolo, perché la title track poteva essere sostituita magari da una curiosa reggaeggiante “Gimme gimme”. Ma era un disco troppo, troppo strano per riuscire a riportare Mike ai tempi d’oro. E forse nemmeno lui lo avrebbe voluto. (Enrico Faggiano)