recensioni dischi
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FINE BEFORE YOU CAME  "Teatro altrove"
   (2015 )

Esili tessiture d’archi, impreziosite dalla tenue filigrana delle chitarre, sorreggono dimesse arpeggi distillati ed insopprimibile spleen, innervando questo toccante, maestosamente fragile, solidamente tremante live dei milanesi Fine Before You Came, prezioso segreto custodito con cura tra le pieghe dell’indie nostrano. Attivo da oltre tre lustri, padre di una discografia episodica fatta di pubblicazioni improvvise e lunghe assenze meditative, il quintetto si offre nudo – mai spoglio – in queste dodici tracce registrate live a Genova durante il tour di inizio anno, rivisitando perle del proprio repertorio in veste sorprendentemente acustica. L’indole laconica ed il basso profilo, ostentato come bandiera di un approccio privo di filtri o mascherate di ventura, rivestono brani di stralunata tenerezza la cui frontale immediatezza viene stemperata dai contrappunti struggenti e provvidenziali del violoncello di Matteo Bennici, sesto uomo in gara ed autentico valore aggiunto dell’intero lavoro. Claustrofobico e veemente, Jacopo Lietti si sgola in un crooning di distintiva unicità, lanciando con sfrontato trasporto invocazioni al nulla, sputando un velenoso requiem da stanza chiusa, incurante di quale e quanto uditorio ne accoglierà l’eco: ne scaturiscono brani di rassegnata introversione che sfiorano l’autoreferenzialità offrendo immagini istantanee per il tramite di liriche minimaliste simili a sfuocate miniature, frammenti di storie sbrindellate celate dietro al paravento di un noi spesso ambiguo (il gruppo come nucleo-famiglia, il rapporto di coppia, il genere umano, il vicino di casa?). E’ un esistenzialismo fatalista e rinunciatario che suggerisce senza spiegare (Niente di tutto questo mi piace davvero/ma so che la mia fortuna è averlo, da “Dura”), musica profondamente triste resa esangue dal risciacquo in unplugged, melanconia esaltata dai movimenti in crescendo generati dal passo ipnotico delle chitarre, dalla reiterazione mantrica di frasi sommerse dal suono (Questa cosa qui o la buttiamo via/o la teniamo rotta, ripete incessantemente “Distanze”), da un’aura sfuggente e ondivaga, a suo modo gentile, mai violenta nei suoi spiazzanti saliscendi emozionali. Sono schegge di sentimenti incerti, piccole sconfitte e vittorie di Pirro, parole nascoste che negano sempre e comunque un qualcosa di indefinito (Fai una lista/delle cose che non vuoi, recita “Lista” in apertura), canzoni fluttuanti fra tutto e niente a testa bassa e con opprimenti pensieri: restano i brucianti ricordi di una “Dublino” esaltata dalla rivisitazione, la spettrale ripulitura di “Discutibile”, il sussulto quasi cameristico di “Cena”, il basso di una “Angoli” che dispensa brividi fra i Cure di “Faith” e i Red House Painters di “Katy Song”, la resa incondizionata di “Magone”, la chiusura di una “Distanze” quasi abbandonata nella sua sospesa desolazione, a single note rings on and on and on… “Teatro Altrove” è disco fin troppo intimo, confidenziale e confessionale per poter verosimilmente far breccia nei neofiti, album di fosca intensità destinato probabilmente ai (non pochi) fan della band - sèguito religiosamente fedele accresciutosi nel tempo con la sola forza del passaparola -, lavoro che non cambierà una virgola nella sbilenca parabola dei Fine Before You Came, senza che per Jacopo e soci ciò assuma una qualche reale importanza. (Manuel Maverna)