recensioni dischi
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FINAZ  "Guitar revolution"
   (2016 )

Alessandro Finazzo, in arte Finaz, chitarrista, compositore e cofondatore della Bandabardò, è personaggio giustamente noto, e non solo nei patri lidi: lo scorso ottobre, pochi giorni prima dell’uscita di questo suo secondo lavoro (dopo “Guitar Solo”, uscito nel 2013), il nostro è partito per un tour in Nord America, durante il quale è salito su 12 palchi tra Canada e Stati Uniti, compresi quelli prestigiosi di Boston, New York, Grand Theatre du Quebec (a Quebec City) ed alla Maison de la Culture di Montrèal. Palchi, insomma, che colleghi tricolori ben più celebri di lui nemmeno si sono sognati. Qual è, quindi, il segreto di Finaz? Come mai, da cofondatore della Bandabardò (ensemble di certo noto ma non esattamente “mainstream”), si ritrova ora ad essere cardine e pietra angolare della musica italiana? E’ presto detto: la coerenza. E la bravura, ovvio, che non guasta mai. Coerenza perché, pur percorrendo ora lidi abbastanza diversi rispetto a quelli degli esordi, Alessandro non è mai sceso a patti, ha sempre inseguito e coronato il proprio sogno musicale con ammirevole ed innegabile compattezza e saldezza morale. E dove sta, quindi, la “rivoluzione” del titolo? Semplice: nell’uso diverso che il protagonista fa del proprio strumento principe, ovviamente la chitarra. Durante un recente viaggio a Cuba, Finaz è entrato in contatto con diversi musicisti locali, imparando (a suo stesso dire) una grande lezione: che ogni nota non deve solo essere eseguita e cantata ma anche ballata. Che, cioè, la musica tocca le corde giuste solo quando sa essere sia canto che danza. Ecco la grande “revolution” di Finaz: la musica non è più esclusivo appannaggio della chitarra, ma è la chitarra stessa ad essere al servizio della musica. Protagonista, certo, ma completamente e splendidamente inserita nella restanti note. Il brano più esplicativo di questo nuovo trend è probabilmente “Springsong”, ottimo flamenco ideato e composto proprio sul Malecon dell’Avana, ma anche la “strana” e sperimentale “Close to the edge”, nella quale una chitarra a-la U2 (ecco l’”edge” del titolo!) incontra nel finale addirittura i violoncelli, la balcanica “Finaz drom #3” (in collaborazione con Namoor ed i cori muti di Erriquez della Bandabardò) fino alla splendida “Whole lotta love” dei Led Zeppelin eseguita per sola… chitarra classica. Poesia pura, per un disco che molto difficilmente deluderà l’ascoltatore anche casuale. (Salvatore La Mazzonia)