recensioni dischi
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THE CHICKEN QUEENS  "Buzz"
   (2016 )

Power Duo formato a Modena nel 2012 da Matteo Capirossi (voce e chitarra) e Luca Sernesi (batteria), The Chicken Queens, corroboratisi nel corso di una frenetica attività live a fianco di nomi affermati dell’indie-rock nostrano, pubblicano su etichetta La Clinica Dischi “Buzz”, album che segue il debutto sulla lunga distanza di “Up from the grave”, datato 2013. Più affini - per restare al patrio suolo - allo stampo dei Bud Spencer Blues Explosion o dei Bettie Blue piuttosto che alle divagazioni noir dei Versailles o all’incupita ferocia dei Bachi da Pietra, i ragazzi prediligono un incedere piuttosto monocorde senza tuttavia rinunciare ad inserti capaci di iniettare nuova linfa in queste otto tracce di rude compattezza. Se “The Queen Bee” e “Sweet Cold Bones” aprono l’album illudendo con il piacevole inganno di un chiassoso r’n’r nel trionfo assoluto delle dodici battute, gli episodi successivi riescono mirabilmente a rimpastare la formula – non facile spremere creatività dalla scheletrica creatura contemporanea a due soli componenti – deviando dall’alone crampsiano in veste Strokes per sposare concezioni più free-form. Ad esempio, molto interessante appare l’idea sottesa a “Rollin’ and tumblin’”, ossia sviluppare un’esitazione intrecciando elementi (il canto, la ritmica percussiva, la melodia) che seguono – ciascuno - un percorso a sè, dapprima in contrasto, poi contrappuntati dalle rasoiate della slide-guitar, infine amalgamati in una curiosa variazione alt-country a metà del brano; pregevole la cadenza à la Stones di “Holiday blues”, così come l’andamento più southern di “Cherry bomb”, ottimo il blues slabbrato di “When the sun goes down” e deliziosa la bislacca ballata dylaniana di “She looks” che chiude l’album sull’unico, inatteso rallentamento dell’intera raccolta. Il gioco funziona, grazie anche al canto veemente, a tratti maligno e psicotico (“Clap your hands”, ad un passo da Jon Spencer) di Capirossi, ai saltuari filtri sulla voce che conferiscono un’aura inquietante a canzoni ben calibrate, quadrate e furbe nella ricerca del massimo effetto con la minima strumentazione: le sonorità si mantengono ruvide e robuste quanto occorre ad imbastire un lavoro ammirevole per foga ed impegno, sostenendo a dovere un disco strutturato, ben concepito ed altrettanto ben prodotto, la cui indole stradaiola troverà sicura esaltazione nella dimensione live. (Manuel Maverna)