recensioni dischi
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MULBÖ  "Mulbö"
   (2016 )

I Mulbö sono una giovane band torinese formatasi nel 2013 e giunta all’esordio discografico al termine del 2015. Il quartetto propone un disco omonimo di otto tracce strumentali, in cui emerge distintamente una forte attitudine alla sperimentazione. Il gruppo piemontese ha scritto un diario di un viaggio introspettivo di circa trentacinque minuti all’interno dell’io: in tal senso, non è casuale la scelta di una copertina che ritrae un occhio che osserva un corpo umano. E in musica si traduce lo sguardo al caos multiforme del nostro essere, alla ragione e all’istinto, alla follia e all’equilibrio, alla schizofrenia e alla lucidità. “Mulbö” è un disco dal sound corposo, un’opera in cui la tensione è incessante e il carattere evocativo molto marcato. “Humbaba” lo chiarisce subito, con una batteria martellante che entra nella pelle e nella testa, e un basso che costituisce lo scheletro d’un pezzo che si arricchisce degli squarci di chitarra e sax, mentre l’elettronica diventa il tappeto sonoro ideale per suggerire suggestioni psichedeliche e post rock. Questi schemi rappresentano il fattore accomunante per molte delle tracce in scaletta. In “Mulbö” funziona tutto in maniera esemplare: dal basso tachicardico di “Noun” alla leggerezza di “Kobe”, passando per la nervosa “Marno Edwin” e la frenetica “Thallium Case”. Anche quando cambiano direzione, spingendosi ad Oriente come in “Szen Ji”, la band non perde la bussola e continua a giustapporre piccoli gioielli, come l’acida e spettrale “Xagalka” che tende all’inconoscibile, e la paranoia funkeggiante di “Reamut”. “Mulbö” è uno dei lavori più belli e sorprendenti degli ultimi mesi: la band dimostra d’avere il piglio di chi ha già una grande esperienza e l’ispirazione di pochi, la capacità meramente compositiva fa il resto. Giù il cappello. (Piergiuseppe Lippolis)