recensioni dischi
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DEBBIT  "Piano D"
   (2016 )

“Straparlo” e “faccio citazioni”. Così canta Debbit in “HHD”, brano che apre il suo disco d’esordio dal titolo “Piano D” (produzioni a cura di Anagogia, DannyBeatz, ManuPHL, Nazo, The Essence, Virtus e Weshit). Ma la vera presentazione arriva con “Capito come”, brano in cui l'autore si definisce “eclettico, elettrico, egocentrico, creativo, buono, espressivo, modesto, egoista”. Ma chi è davvero Debbit? Emanuele Marzia, classe 1989, è cresciuto nella periferia di Roma, per l’esattezza nel quartiere Trullo. Sa bene che “per fare rap ci vuole ingegno” (come canta in “A tempo debito”), e così nei suoi pezzi mette passione, ironia, originalità e giuste metriche. Un passato da writer, re del freestyle, Debbit si racconta in rima in 12 brani legati tra loro dal tema del futuro, delle sfide, delle regole, del rischio: il rapper canta il desiderio di farcela e, al tempo stesso, la consapevolezza di poter fallire. Intensa “Non si può”: una riflessione sul tempo, rimpianti, rimorsi. Energica “Inarrestabile”, che lancia una promessa chiara: “Finché ci sarà chi mi stima non finirò la benzina anche quando sto in bilico”. E poi - scorrendo la tracklist – troviamo sonorità fresche ("Meglio di me" o "Capito come") ed altre più introspettive (“Aiuto”). L'ultimo pezzo è ancora un acronimo: “DDFLS”, discorsi dal filo logico spinato. Con questo pezzo Debbit descrive la difficoltà nel comunicare. Racconta che le scelte intraprese nella vita spesso sono inconcepibili, come quella di intraprendere una carriera musicale che a suo dire è una vera e propria scommessa. Non manca lo sguardo sul presente (sempre in “A tempo debito” canta “il primo dubbio l‘ho avuto scoprendo che si muore in nome del Signore”) e la critica a alla società: “un mare di squali”. “Questo disco sa di malato” dice, ma di malato forse c’è un sistema, un mondo che Debbit “disegna” con un tipico flow spostato sul tempo e intramezzato di tecnicismi. Debbit gioca bene con le parole e ci regala la fotografia di uno stato d'animo: quello di un venticinquenne che ha deciso di intraprendere la faticosa strada della musica nonostante le difficoltà. Certo, sa che può migliorare, ci sono molte che "dovrebbe fare" o evitare “per fuggire da un purgatorio” (“l’eccesso”, “il farsi condizionare”). Ma c’è tempo. E poi, con leggerezza e freschezza, lo ammette lui stesso in un pezzo: “Mica so’ Mandrake?”. (Luca Bussoletti)