recensioni dischi
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BLACK EYED PEAS  "Monkey business"
   (2005 )

Tipica storia dei nostri tempi quella impersonata e vissuta dai Black Eyed Peas: ensemble sfrontato snobbato dalla critica e poi applaudito da colleghi dal passaporto prestigioso. Il proprio all’approssimarsi della stagione estiva ne è in tutto e per tutto la sua celebrazione. Un minestrone musicale che non si (ci) risparmia nulla. All’interno citazioni da black exploitation centrifugate in chiave tecnologica, ragga insinuanti, funk spinto, aperture sinfoniche, hip-hop in quantità industriale, svolazzi dal sapore latino. Il tutto condito con incastri vocali di rara abilità. E al party che inaugura l’estate 2005 non volevano mancare alcuni di quegli amici di cui sopra: ecco allora Sting che li ospita per i preparativi nel suo castello (“Union” costruita sul campione di “Englishman In NY”), l’appropriato Justin Timberlake nella sontuosa “My Style”, il groove master James Brown, proprio lui, accorso con la sua nuova parrucca, le spaccate e gli urletti che bruciano sempre l’aria già torrida nella dichiarazione d’intenti di “They Don’t Want Music”. Saranno in molti a storcere il naso di fronte a cotanta tracotanza e furberia. Saranno in parecchi a non curarsi dell’intelletto sacrificandolo all’istinto. (Davide Sechi)