recensioni dischi
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BARACHETTI / RUGGERI  "White out"
   (2016 )

Un concept album sul mal di testa. Mal di testa come declino etico, culturale ed esistenziale dell’occidente. Di questa amara presa di coscienza – una disperazione alla quale non ci si può sottrarre – si cantano le conseguenze e i (pochi) tentativi (complicati) di rimarginarne le ferite. La collaborazione tra Luca Barachetti (ex Bancale), che ha dato il via al progetto scrivendo una manciata di testi in forma poesia, ed Enrico Ruggeri (già Hogwash, oggi musicista sperimentale: da non confondere con l’altro Enrico Ruggeri) è uno splendido viaggio senza ritorno nel nostro inconscio. ''White Out'' è un disco che rischia in ogni suo singolo istante: non lascia nulla al caso e colpisce nel profondo dell’animo. Il disco italiano dell’anno, finora. Il brano d’apertura è meraviglioso. ''Dolore Bianco'' è il termine ultimo della nostra (un tempo) brillante civiltà occidentale, ora catapultata in un soffocante vuoto da sala d’ospedale: quel black-out che la pervade è, appunto, bianco. È la luce asettica e avvolgente di una operazione chirurgica, dalla quale si è avvolti prima di cedere all’anestesia. ''Corpo Occidente'' decreta la morte e la susseguente autopsia di quel mondo: il “mal di testa cosmopolico” lo ha contagiato e reso incapace di reagire. ''Pulsa'', nel suo continuo ripetere il verbo del titolo, si trasforma in un mantra apotropaico, una sorta di canto tribale che ipnotizza e spaventa. ''Uomo Scritturato'' sembra uscita da un album della seconda metà degli anni ’80 degli Einstürzende Neubauten, con atmosfere simili alla meravigliosa ''Feurio'', presente sullo stratosferico LP ''Haus der Lüge'' (si tratta di quello che ha in copertina il cavallo che fa pipì: se non l’avete mai ascoltato prima d’ora, provvedete subito). Una minima speranza esiste: l’uomo deve accorgersi dei suoi limiti, prenderne atto e cercare di alzare la testa per raggiungere, in mezzo a questo bianco atroce da cui è sommerso, l’azzurro salvifico, per poter essere ancora uomo verticale. In ''Macula'' il mal di testa ritorna prepotentemente protagonista: le onde sonore gravi e taglienti del finale, mentre la voce ripete la stessa parola quasi senza trasporto emotivo, gettano nello sconforto e sembrano non lasciare più speranze; la salvifica ''San Sebastiano'', pacifica non tanto nei suoni ma nelle parole, si comporta come una preghiera sommessa, accennata a bassa voce quasi con vergogna e con la consapevolezza di essere colpevoli e non meritevoli di perdono. La seconda parte del disco si apre con ''White Out'': siamo protagonisti di una discesa negli inferi degna ancora una volta di Blixa Bargeld & Co., quelli aggressivi e pazzi di ''Kollaps'' (utilizzare martelli pnumatici, suonare un ponte coi bicchieri: siamo nel 1984). In certi istanti, questa cavalcata avanguardistica sembra mimare persino la ritmica di un blues, accelerata e divenuta incontrollabile. ''Mare Morto'' è un lamento devastante: “mano di dolore che stringe il capo”. La voce si trasforma in una disperata e distante richiesta d’aiuto. ''Cretto del Vero'' è un analgesico che funziona a metà: le domande che vengono poste sono giuste, ma le risposte sembrano non arrivare. Perché l’uomo occidentale e la società da lui prodotta si sono corrotti? Cosa non ha funzionato? Quando è iniziato il declino? ''Panda Psichico'', con le sue curve kraut rock ed un cantato ovattato ed elettrificato, risulta l’episodio più melodico e cantabile all’interno di un disco sperimentale che, a buon diritto, si preoccupa quasi unicamente di trasformare le tematiche affrontate in vortici di suoni tremendi e poco tranquillizzanti. Questa traccia, invece, è sorprendentemente dolce. ''Uomo Occipitale'' è l’ultimo tassello aggressivo, così acido per i suoi stridii elettronici, prima della conciliante chiusura, la lunghissima e bellissima ''Fiume Verticale'', che nel suo incedere ineluttabile e con le sue sfumature cosmiche porta l’uomo occidentale alla definitiva accettazione della sua condizione di minorità, ma apre anche una speranza verso un azzurro che non è poi così lontano: “Allarga le braccia e innalza il tuo craino / come se fosse la sorgente assurda / di questo grande fiume / di questo grande fiume verticale”. Non è un bianco eterno: il colore esiste, e per dare un senso alle nostre esistenze dobbiamo sforzarci di raggiungerlo. (Samuele Conficoni)