recensioni dischi
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STEIN URHEIM  "Strandebarm"
   (2016 )

È tornato Stein Urheim con il suo terzo lavoro discografico, dopo aver ricevuto consensi e applausi con i suoi precedenti dischi. Il norvegese propone un altro album molto caratteristico ed estremamente personale, come ci ha abituati a fare in questi anni, intitolato “Strandebarm”. “Strandebarm” fa riferimento ad un comune della Norvegia meridionale, ed Urheim l’ha registrato proprio nella chiesa di quel comune, alimentando ancora un flusso continuo di sensazioni ed un vortice di stati d’animo. Il polistrumentista scandinavo ha suonato tutti gli strumenti che è possibile distinguere nell’opera. La bellezza di “Strandebarm” sta nella sua capacità di rappresentare una sorta di viaggio mentale che porta un senso di armonia diffusa e generale, di miscelare voce e chitarra, flauto e armonica, chitarra e bozouki, banjo e mandolino, le percussioni e il tamburo turco. Si tratta di lunghe cavalcate e pezzi condensati nei canonici tre minuti e mezzo dal forte accento evocativo: l’opera inizia con la tetra “Water”, col suo tono oscuro, divisa in due parti, fra le quali troviamo una titletrack corposa e dagli arrangiamenti densi. “Fjellbekken” è un pezzo più liquido, anche se la chitarra assume un ruolo maggiormente centrale, prima di un finale che incorpora elementi jazz e lunghi tunnel psichedelici. Stein Urheim ribadisce d’essere un artista molto sensibile alle nuove forme sperimentali, che vedono la presenza dell’elettronica accanto a quella di strumenti tradizionali e non, e confeziona un nuovo prodotto la cui fruibilità certamente non sarà immensa, ma la cui qualità difficilmente può esser messa in discussione. (Piergiuseppe Lippolis)