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PAOLO BALDINI  "Dubfiles at Song Embassy, Papine, Kingston 6"
   (2016 )

Da molti anni uno dei principali produttori della scena indipendente italiana, Paolo Baldini confeziona un album pieno di featuring prestigiosi e di world music variegata e divertente. Registrato in Giamaica in una sola settimana, il disco riesce a colpire per la sua schiettezza – per la quale può essere avvicinabile a una live performance – e per la sua compattezza totale, che lo rende ideale come colonna sonora di un reggae party.

Un album come questo ''Dubfiles at Song Embassy'' si presenta a primo impatto come un puzzle difficile da ricomporre e completare: il percorso che lega una canzone all’altra è labirintico e gli artisti che si avvicendano come protagonisti di ciascun brano sono spesso semi-sconosciuti o famosi solo a livello locale. Questo esperimento coraggioso e maturo ripaga le aspettative. Moltissimi artisti della zona non hanno sprecato l’occasione di poter comparire su un disco pubblicato da La Tempesta con distribuzione prevalentemente italiana: un modo per loro di farsi conoscere in questo paese per poi cercare di ampliare le proprie possibilità nel resto dell’Europa. Ed è in questa misura che il disco colpisce maggiormente: oltre all’immediatezza delle performances c’è un senso di meravigliosa incompiutezza, di improvvisazione, di perenne instabilità, sensazioni che certificano la natura del disco come uno strano prodotto al confine tra live concert e reggae party.

Già con i B.R. Stylers Baldini era riuscito a creare un mix elegante e originale di elettronica e reggae con un orientamento di stampo britannico. Su ''Primitivi del Futuro'' e ''Nel Giardino dei Fantasmi'' dei Tre Allegri Ragazzi Morti la sua mano è presente più che mai; ascoltando questo disco, poi, lo si nota ancora di più. Il tipico riverbero sporco e scarno delle percussioni e delle batterie giamaicane e le chitarre minimali sono il marchio di fabbrica del suo stile, in totale vicinanza con l’universo sonoro afroamericano e rastafariano. ''La Cattedrale di Palermo'' e ''Gianni Boy'' su ''Primitivi del Futuro'' rappresentano due esempi perfetti per evidenziare quanto fondamentale sia stato l’apporto di Baldini nei lavori recenti del gruppo friulano. I Mellow Mood sono la band in cui il suo segno come produttore è più profondo; il loro curioso e intelligente rapporto intrattenuto con reggae e dub sono il prodotto di respiro più internazionale che Baldini abbia curato finora.

Il progetto Dubfiles nasce nel 2014, anno in cui Baldini esordisce come artista solista dopo le tante pubblicazioni in cui risulta produttore. Anche allora era accompagnato da diversi cantanti; la sfera, lì, era prevalentemente europea. La differenza tra quel progetto e questo sta proprio in tale cambiamento: Baldini decide di dare vita al suo nuovo lavoro in Giamaica, per coniugare le proprie influenze e ispirazioni musicali con il luogo che le ha inventate. Gli artisti che compaiono in queste canzoni registrano in Giamaica, nello studio mobile che Baldini aveva portato con sé per l’occasione, e danno l’impressione di sentirsi a loro agio in quel luogo. L’atmosfera è strepitosa e la sensazione che tutti si stiano divertendo e stiano prendendo parte a qualcosa di unico nel panorama musicale italiano è percepibile sin dalla prima canzone.

Passando in rassegna le collaborazioni, colpiscono i nomi di guru del genere come King Kamptha, splendido in ''Kingston 6'', Positive B che rende magica la maestosa – di nome e di fatto – e fumosa ''Majesty'', il convincente Carey Johnson che inventa una melodia fantastica con vocalizzi marleyani in ''Keep the Vibes On'', Reggi Hammer e Obi Ranks che, insieme all’apporto per niente trascurabile di Daddy John, rendono memorabile uno dei picchi del disco, la spassosa ''Song Embassy Medley #4'' che, presentandosi quasi a metà del disco, diventa una parentesi gustosa che invoca alla danza come strumento di liberazione del corpo e come pausa di riflessione verso i ritmi angoscianti del mondo. Il canto panico di ''Welcome to JA'' è la preghiera pacifica e solitaria di un ottimo Soulji, la cui voce diventa un tutt’uno con la dolcezza extrasensoriale emanata dagli strumenti e dai sintetizzatori: la degna chiusura di un grande disco che proprio perle come queste identificano non come semplice “Compendio per passare una serata a ballare in casa con amici”, ma come viaggio tortuoso e avventuroso all’interno di una cultura enormemente stimolante. Certo, il disco risulta godibilissimo e può accompagnare tranquillamente la colonna sonora di una discoteca a tema reggae, è però prima di tutto una grande opera multietnica che esplora tematiche profonde e le abbiglia sapientemente con melodie ammalianti.

Nei suoi momenti migliori, ''Dubfiles at Song Embassy'' è una carta da visita magnifica per dimostrare ai (tanti) dubbiosi (sia chiaro: sono tali per motivi più che leciti) che l’influenza del reggae o del dub all’interno dei confini del nostro paese può anche essere il punto di partenza per straordinarie sperimentazioni musicali come questa (o quelle dei Mellow Mood) e non solo il riempirsi la bocca di tanti gruppi o artisti elettronici che utilizzano questi generi nella maniera più sciatta e superficiale, per attrarre un certo tipo di pubblico e per tentare di sbarcare il lunario oltreoceano o nei paesi europei che amano particolarmente questo indirizzo musicale. Siamo di fronte a una delle dichiarazioni più sincere e intriganti dell’anno: un artista, che non ha quasi nulla da dimostrare come produttore, registra in un’opera ambiziosa le influenze che lo hanno formato e che lo hanno reso noto in ambito musicale, non volendo essere per forza innovativo, ma risultando quasi geniale nel sapere fondere il suo aspetto derivativo con quello creativo. (Samuele Conficoni)