recensioni dischi
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SKADEDYR  "Culturen"
   (2016 )

È facile pensare al metal quando si parla di Norvegia, ma la terra dei fiordi ha anche molto altro da offrire. A confermarcelo ci sono, fra gli altri, gli Skadedyr, tornati a Maggio dopo l’esordio con “Kongekrabbe”. Gli Skadedyr rappresentano una formazione corposissima, composta da dodici musicisti e una strumentazione parecchio ampia, capaci di garantire una larga varietà di soluzioni e stili differenti. Sebbene l’habitat naturale della band sia il live, “Culturen” dimostra quanto gradevole sia la fruizione di un loro lavoro in studio. Si tratta di musicisti navigati, che già a partire da “Datavirus” scongiurano il rischio di risultare disarmonici, proponendo un jazz che parte in maniera tiepida prima di esplodere in un ritmo quasi da ballo, grazie a una sezione ritmica sempre efficace. Frequenti i cambi di ritmo, che trasformano pezzi jazz-oriented in eleganti evoluzioni di archi. In tal senso, “Datavirus” è già parecchio indicativa e regala buonissime sensazioni che vengono poi confermate dal resto del lotto. Dalla spensieratezza di “Bie” alla breve e seria “Nussi Sinusdatter”, gli Skadedyr sono capaci di spaziare dal jazz all’ambient, concedendo passaggi cinematografici e momenti che regalano sprazzi di epicità con soluzioni quasi orchestrali. La titletrack suggella un’opera di sei tracce (alcune delle quali, però, sono sull’ordine dei dieci minuti) che convince dall’inizio alla fine e che fa quasi totalmente a meno delle parti vocali, riuscendo comunque a risultare accattivante ed a farsi apprezzare senza mai concedere sbadigli. Lo spirito godereccio del disco permette una fruibilità su larga scala, anche perché la stessa definizione di jazz risulta troppo ristretta per contenere tutto ciò che gli Skadedyr hanno da proporci. (Piergiuseppe Lippolis)