recensioni dischi
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MOSKUS  "Ulv ulv"
   (2016 )

Dopo i buoni riscontri ottenuti con “Salmesykkel” e “Mestertyven”, i norvegesi Moskus fanno il loro ritorno con “Ulv Ulv”, terza fatica discografica del quartetto impegnato in altri progetti quali Skadedyr e Palaver. È il jazz il genere di riferimento per una band che, in realtà, dimostra una grossa attitudine alla sperimentazione. Il ruolo da protagonista, sulla carta, dovrebbe averlo il piano di Anja Lauvdal, già “Medstrøms” dimostra una realtà piuttosto differente. Nella sezione ritmica troviamo sintetizzatore, violino, basso e percussioni, ma anche scacciapensieri, armonium e non solo. I Moskus danno il via al loro disco con un pezzo minimale per poi descrivere un crescendo da “Angelfossen” in poi. Violino e synth dominano la scena nel suddetto pezzo, mentre l’andamento sghembo di “Noe Med Utopia, Klondike” deriva da una maggiore partecipazione della sezione ritmica e delle percussioni. I sei minuti e quindici di “Den Store Skjønnheten” mantengono un’atmosfera quasi funerea nella prima parte, mentre nella seconda i contorni diventano quelli più canonici per un brano jazz. In “Chimes / Gullregn” e “Kullgraver” il piano perde nuovamente la centralità conquistata nei pezzi precedenti: ancora molte percussioni e suoni molto essenziali, mentre “We Will Always Love You Too, Whitney Houston”, come il titolo lascia presagire, diventa l’epicentro emozionale del disco: è un pezzo molto intimista e delicato, un dolce omaggio alla storica artista scomparsa quattro anni fa. In chiusura, “Borre Borre Gulleple, Sla Vekk” è un lungo percorso di dieci minuti fra suoni fortemente distorti, reso più piacevole nel finale da percussioni che conferiscono un tono solenne al pezzo, mentre “Ei Signekjerring” suggella l’opera con tanto synth. “Ulv Ulv” è un disco complesso e per palati fini: non sono in dubbio le capacità tecniche del quartetto, ma la sperimentazione a tratti si fa un pochino smaccata, inficiando la godibilità del prodotto. (Piergiuseppe Lippolis)