recensioni dischi
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PREOCCUPATIONS  "Preoccupations"
   (2016 )

Passato attraverso i brucianti mutamenti di successive reincarnazioni, il genio cupo ed impenetrabile di Matt Flegel ha sortito nell’ultimo decennio alcune tra le pagine più oscure e meno allineate dell’indie-rock tutto, virando in particolare verso una sbilenca declinazione del verbo post-punk. Dalle contorsioni art degli Women - musica spezzata, stuprata da riverberi e strati di feedback, musica dilaniata e deformata, shoegaze trafitto da chitarre svenevoli e stordenti - al post nevrotico targato Viet Cong il passo non è stato breve né facile, un salto nel buio condito da andamenti barcollanti, ritmi caracollanti e discese abissali, quasi la versione infernale dei connazionali Ought. L’approdo, al terzo cambio di pelle, si chiama oggi Preoccupations, un porto affatto sicuro nel quale Matt nasconde per l’ennesima volta l’intero campionario di trucchi e mascherate affinati in un cammino impervio, fermandosi oggi un centimetro al di qua dell’immaginaria barricata eretta nel tempo contro ogni genere, ogni convenzione, ogni accessibilità. Il ruolo delle chitarre ne esce ridimensionato, in favore di una costruzione meno spinosa, ma non priva delle consuete insidie. Introdotto dalla metronomica litania dolente e sofferta à la Interpol di “Anxiety”, con il profondo baritono di Matt steso su un passo motorik contrappuntato da una ipnotica frase di synth, l’album concede sporadiche aperture alla melodia, in particolare in una “Monotony” che nell’inciso ricorda a tratti la “A strange day” di mr. Smith, e nella satura chiusa disfattista di “Fever”, epitaffio dilatato di spasmodica tensione. Il drumming di Mike Wallace si mantiene secco, ossessivo, asciutto, mentre sull’intero album aleggia incombente e spettrale una avvolgente aura dei Joy Division meno claustrofobici: emblematici gli undici minuti di “Memory” (la versione aggiornata, forse edulcorata, del torrenziale contraltare “Death” su “Viet Cong”), che placano la loro sibillina furia in un’oasi Curtisiana a metà del brano, collassando in una coda rarefatta per rumori ambientali, parentesi eterea ad un passo dal nulla. E se “Sense” è una scheggia barrettiana, “Stimulation” vaga spavalda tra citazioni sparse da trent’anni di tetraggine, lanciandosi dapprima in un gorgo da Bauhaus per lasciarsi sventrare da ritmi impazziti à la Suicide sotto la guida di un basso pulsante di matrice Stranglers. Album ammantato una volta ancora da un velo nero e da una insopprimibile, caliginosa atmosfera di plumbea incombenza, “Preoccupations” è lavoro che si nutre di una paradossale ragionata urgenza, musica che scorre lenta ed opprimente come un fiume limaccioso sotto cieli grigi e senza frivole concessioni alla platea, viatico indispensabile fino alla prossima curva cieca, fino al prossimo cambio di rotta. A change of speed/a change of style/a change of scene/with no regrets. (Manuel Maverna)