recensioni dischi
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MICO ARGIRO'  "Vorrei che morissi d'arte"
   (2016 )

“Vorrei Che Morissi D’Arte” è l’emblematico titolo scelto da Mico Argirò per il suo nuovo lavoro in studio, un disco che contiene una lettura fortemente negativa della contemporaneità ma che non cela il suo messaggio di speranza. L’album ha avuto una gestazione piuttosto lunga e la sua complessità è figlia anche di questo aspetto: se a dominare sono gli stilemi classici del cantautorato, Argirò inserisce sfumature diverse che spaziano dal pop rock al reggae fino ad arrivare alla musica concreta. Nel complesso, tutte queste pulsioni sono controllate in maniera certosina, riuscendo a mantenere saldo l’equilibrio. I pezzi sono tutti potenziali singoli, a partire dalla titletrack che, in chiave power pop, assume un significato caratteristico e ambivalente, con un apparente augurio di un qualcosa di negativo che, in realtà, diventa anche celebrazione dell’arte come fine ultimo della vita. I tre pezzi successivi testimoniano la grande eterogeneità della tracklist: in “Figlio di Nessuno”, la storia di un artista girovago, troviamo una divagazione jazzy, in “Money”, pezzo che critica il ruolo della ragion di mercatura nel nostro tempo, viene fuori l’anima più reggae. Nel mezzo ci si imbatte nelle sperimentazioni di “Saltare”, mentre, proseguendo, la delicatezza di “Chissà Se Tornerà” precede l’allegria velata di jazz di “Il Polacco”. “Lo Scacchista” chiude con cambi strumentali e di ritmo, a voler sottolineare la completezza di un disco davvero curato in tutti gli aspetti e fruibile per una larga fetta di pubblico. L’auspicio è che questo lavoro possa arrivare a quanta più gente possibile, perché avrebbe la possibilità di imporsi con la sua genuinità. (Piergiuseppe Lippolis)