recensioni dischi
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STEFANO FERRO & BAND  "Il mercante dei pensieri"
   (2017 )

"Ci son cantanti senza più canzoni, ci son pensieri senza pensatori". Così ci ammonisce Stefano Ferro, cantautore veronese dalla voce calda che narra storie tratte dalla realtà quotidiana, arricchite da molti riferimenti letterari che rendono avvincenti le trame. Tanto per dirne una da subito, nella autobiografica "Lo scribacchino comunal" c'è una squisita citazione a Palazzeschi, poeta futurista troppo poco ricordato. Ferro, che qui ci presenta l'album "Il mercante di pensieri", si esibisce da quindici anni in giro per l'Italia tra festival e concorsi, e può vantare una collaborazione con nientemeno che Massimo Bubola, con il quale ha scritto "Andremo via", pezzo inedito che chiude una raccolta di canti popolari della Grande Guerra ("Da Caporetto al Piave"). I riferimenti per Stefano Ferro sono chiaramente i grandi cantautori della tradizione italiana: De André, Bertoli, Guccini, De Gregori. Le canzoni presentano tutte un arrangiamento pressoché uniforme, basato su chitarra folk circondata da un arredamento sonoro abbastanza spoglio ed essenziale. Ogni tanto compare l'amichevole armonica a bocca, ricordando l'assetto tipico dei cantastorie di tutto l'Occidente, da Dylan a Bennato, affiancata da sezioni ritmiche leggere, pianoforte e chitarra elettrica in slide. Ogni tanto ci sarebbero potuti stare dei cori femminili, comunque sentire la sola avvolgente voce di Stefano ricorda la tipica situazione dell'aedo che racconta vicende comuni nelle piazze. Questa suggestione viene confermata da alcuni brani: "Tre ladri" ad esempio, trae spunto da un articolo di cronaca veronese di un secolo fa; l'ambientazione immaginaria dove si possa cantare questa canzone è appena fuori dall'Arena di Verona, con una folla incuriosita che magari non presta attenzione all'evento più pubblicizzato dentro l'Arena. La titletrack "Il mercante di pensieri" parla di "un bel fiore per la regina e un coltello per il re". Ad un primo ascolto, l'interpretazione immediata va a cercare l'amor cortese cantato nel Medioevo per le irraggiungibili mogli degli uomini di potere, ma le cose non stanno così. Stefano ci riferisce che la regina è la nostra anima, e il re il nostro pensiero. Quindi bisogna andare a fondo nei testi, dove emergono significati molto profondi. Degli otto brani, la maggior parte sono abbastanza mentali - specie "Sogni profani" - dando ossigeno al cervello rattrappito dalle troppe canzoncine vuote di oggi; quello di chiusura, "1915", raggiunge anche le corde del cuore, portando agli occhi lucidi le anime più sensibili. Come per la raccolta di Bubola, anche "Il mercante di pensieri" si chiude con questo brano dove si immagina la partenza di un soldato per la Prima Guerra Mondiale salutando il suo amore, e dove si ricorda una convinzione di quei tempi: che sarebbe stata una guerra lampo. La linearità delle musiche viene per un attimo disattesa ne "Il confessando", dove una persona per niente pentita dei propri peccati va a confessarsi da un prete per niente ligio ai voti, che assolve il peccatore con un discorso ambiguo valido per un moderno fra' Timoteo. Quando parla appunto il sacerdote, l'impianto da cantautore lascia spazio a un organo da chiesa e ad un cantato recitato, con un accento meridionale che ricorda il "Don Raffaè" di Faber, per poi rientrare nella situazione normale. La situazione tripartita di tale brano e il tono beffardo dimostrano la capacità di Stefano Ferro di saper anche divagare dal suo stesso ambiente molto serioso e di scherzare con sé stesso. Egli è uno ''scribacchino'' che si è scelto una posizione, quella del cantautore della coscienza, che dovrebbe tornare a ricevere maggiore attenzione dalle radio e dai canali mainstream. C'è ancora tanto da dire, e parafrasando la sua "Ballata dell'assenza", si potrebbe aggiungere il verso: "Ci sono orecchie senza ascoltatori", pertanto nel lungo periodo si auspica - e si lavora per - un'inversione di tendenza che porti uno come Stefano Ferro... dentro l'Arena! (Gilberto Ongaro)