recensioni dischi
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ARTEMISIA  "Rito apotropaico"
   (2017 )

I friulani Artemisia, dopo tre anni di silenzio e reduci dal successo di critica e pubblico di “Stati Alterati di Coscienza”, si riaffacciano sulla scena discografica con la loro quarta fatica: “Rito Apotropaico”. Otto tracce che musicalmente strizzano l’occhio al metal, senza disdegnare il doom, su un tessuto di ruvido rock e testi che proiettano l’ascoltatore in un’atmosfera fatta di mistero, di riti magici, di disputa tra spiriti benigni e maligni che lottano in uno scontro destinato a durare in eterno. La voce suadente, melodica ma anche decisa, a tratti aggressiva ma sempre chiara, di Anna Ballarin si sposa bene con la chitarra di Vito Flebus, il basso di Ivano Bello e la batteria di Gabriele “Gus” Gustin. Un disco energico, da ascoltare tutto d’un fiato a partire dalla opening track, “Apotropaico”, e che procede imperterrito lungo le vie del mistero attraverso “Il Giardino Inviolato”, “Tavola Antica” e “Iside”. Si tira il fiato con la melodica quinta traccia, “La Guida”, gradevole nel suo incedere acustico e con spensierati arpeggi, lontani dalle sonorità dei brani precedenti. Si tratta tuttavia di una parentesi di oltre 5 minuti, chiusa la quale si ritorna ad un’atmosfera cupa e crepuscolare ne “La preda”, mentre il ritmo diventa incalzante in “Regina Guerriera”. Gli oltre 7 minuti di “Senza Scampo” chiudono un lavoro che, seppur valido e ben fatto, non spicca forse per originalità musicale e contenutistica, cavalcando piuttosto l’onda del “già sentito altrove”. (Angelo Torre)