recensioni dischi
   torna all'elenco


MUSH  "Mush"
   (2017 )

Il disco d’esordio dei Mush, band composta da ex membri dei Kaleiodoscopic e nata nel 2015, si distingue per la capacità di coniugare un suono giovane, innovativo ed energico in una forma musicale che riprende da un lato il post punk statunitense – leggi Fugazi, Black Flag, Moss Icon – e dall’altro l’emo-core più tipicamente italiano e vecchia scuola – ed è impossibile non citare i La Quiete, i Raein e tutto il movimento che da loro discende, e che ha segnato la scena underground della nostra penisola negli ultimi due decenni.

Il disco si apre con una scarica elettrica di non poco conto, “Aspettando Godot”, che dà subito l’idea di come sarà strutturato il disco: un muro del suono aggressivo ma non troppo ermetico, dove chitarra, basso e batteria restano ben distinguibili e seguono sempre un percorso chiaro e melodico (e metodico), sul quale si staglia una voce devastante, urlata, convinta e convincente. La melodia è la protagonista anche de “L’Inverno”, un pezzo duro, roccioso, ma con quel tocco naif e sincero che lo rende, sotto un certo aspetto, un brano dolce e malinconico. E compaiono, come spettri, anche i Minor Threat e i Fine Before You Came, i loro cambi di ritmo, le loro rivoluzioni rischiose. Più spiccatamente emo-core è “Dov’È la Fine?”, nella quale possiamo davvero trovare qualche traccia delle declinazioni forlivesi del genere (La Quiete, Raein), ma anche le spinte statunitensi di band cardine del post punk come Sunny Day Real Estate e The Nation of Ulysses. “Non È Più Agosto” continua questa linea, in piena unitarietà col brano che lo precede, ed esplode nella seconda parte, dove la rabbia e l’onestà di Francesco Magrini, Marco Ciardo e Francesco Mazzi si palesano ancora di più. “Vona” appartiene all’ambito più dichiaratamente post punk: senza accenni emo, il pezzo si tramuta quasi in un rabbioso shoegaze – a voi i Galaxie 500 più taglienti e molto meno onirici.

La seconda parte dell’album continua su questa linea. Da un lato canzoni che mescolano abilmente e in modo molto originale i due generi; dall’altro un paio di canzoni che privilegiano o uno o l’altro, e si spostano con un trasformismo esemplare nel tal sottogenere o sound. Così, “Sospeso nel Vuoto” è decisamente emo-core, con discendenze di sonorità un po’ torinesi e un po’ forlivesi – già, si sente anche il sano HC di pezzi da novanta dell’underground italiano come Negazione e Negrorgasmo, giganti troppo spesso dimenticati da un presente che non ha memoria storica né gratitudine. “È Lunedì” fonde le chitarre post punk sporche e cattive con batterie assolutamente emo e un cantato disgregato, volutamente confusionario e distopico. “Tutto (O Quasi)” dà spazio, nel suo intro, a un rock torrido dei ‘90s a cui fa seguito una voce potente, che non rinuncia però ad altalene melodiche di qualità e quantità. Il disco si avvia alla conclusione con “Autunni Sbiaditi”, una tempesta di note emo. È un emo rivisto qui in chiave pop, con una voce che quasi recita il testo; la batteria nervosa si scontra con un cantato chiaro, lucido, declamatorio. Probabilmente ci troviamo di fronte al momento più alto del disco.

“Il Mio Grido Più Forte” chiude il discorso: urla e aggressività, riflessioni profonde e ricerca di una strada da seguire; ecco il traguardo finale (ma momentaneo) di un gruppo che ama rischiare e lo fa molto bene. Consci delle loro qualità, i Mush non pretendono di inventare un nuovo linguaggio, ma ne sanno sfruttare con competenza e sincerità due; e il loro più grande merito è di non darla mai vinta del tutto a uno: la forza del disco sta proprio nella continua lotta, serrata ma leale, tra post punk ed emo-core, dove nessuno dei due prevale, ma entrambi se le danno di santa ragione fino alla stretta di mano finale: fair-play e ispirazione non mancano di certo. (Samuele Conficoni)