recensioni dischi
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CAKEWALK  "Ishihara"
   (2017 )

La musica è composta di tre elementi: melodia, armonia, ritmo. C'è però un quarto elemento a cui non tutti i libri di teoria della musica danno uguale risalto: il timbro, cioè la caratteristica intrinseca di un suono, la sua personalità; ad esempio, il timbro può essere stridulo per il violino, vellutato per il clarinetto, nasale per la chitarra elettrica Fender, eccetera. Ecco, se siete dei feticisti del timbro, come il sottoscritto, se amate l'esplorazione dei suoni nelle loro potenzialità, questa formazione fa per voi. I Cakewalk, trio norvegese prog jazz - qualcuno li definisce improrock, ed è forse una definizione più appropriata - sfornano il loro terzo album chiamato "Ishihara", come l'inventore del noto test per il daltonismo con i numeri rossi su fondo verde. O erano verdi a fondo rosso???... Va beh, comunque l'allusione a tale test fa intuire la direzione con la quale ascoltare questa musica: ascoltarla senza alcuna direzione indicata, e basare l'interpretazione sulle proprie personali percezioni. L'Lp è costituito da sei brani (fidatevi, sono sufficienti: tre di essi superano gli otto minuti di durata) e, nonostante siano tutti potenzialmente psichedelici, presentano sei ambientazioni completamente differenti. "Monkeys" inizia con un rumore di scratch simile a quello de "La fitta sassaiola dell'ingiuria" di Caparezza, quindi molto parlante - petulante - e ci introduce in questo primo viaggio solcato da un basso che ribatte ossessivo su due note discendenti, mentre venti floydiani si alternano ad angosciosi suoni gravi di tastiera, e la batteria gioca tra colpi di rullante e tom, senza arrivare mai ad una conclusione della frase ritmica. Il flusso continua fino a delineare una melodia da colonna sonora, ma si sentono anche degli uccellini campionati. L'audio della realtà si mescola con il sonoro della fantasia, creando un clima surreale. Il secondo pezzo, dall'inequivocabile titolo "Shrooms", è costituito da moduli ritmici, armonici e rumorosi, che ci accompagnano tutto il tempo, e ospita dei suoni di synth particolarmente brillanti. Per sinestesia, potremmo definirli "suoni colorati". Il terzo trip si chiama "Dome", che è il nome della seconda montagna più alta della Groenlandia. E' un brano più lento dei precedenti, e i suoni assomigliano a fiati elaborati. A differenza di quanto ascoltato finora, vale a dire flussi continui, qui si riescono a percepire due zone distinte, una A ed una B. Nella B, la maestosità del suono è accentuata dal suo lento dipanarsi nel tempo. "State" è davvero statico, se era questa l'intenzione dichiarata (ma ogni ascoltatore davvero può percepire cose opposte a quelle qui riportate). Una melodia acuta si ripete, e l'intensità cresce molto gradualmente. Anche se cambiano poche cose, sembra che il brano in qualche modo si trasformi. "Apostrophe" strutturalmente sembra più un classico pezzo rock, col basso incalzante, se non fosse che all'inizio ci assale un rapidissimo arpeggio elettronico che sembra rubato da una sala giochi. Il tema melodico è costituito da poche note intervallate da pause, che fanno attendere le seguenti, e anche gli accordi non sono intuibili di volta in volta. Una musica che sa farsi attendere nel suo svilupparsi. Il pezzo conclusivo "Rebound", che significa "ritorno alla realtà", è invece un pedale (cioè basato su un unico accordo che non cambia mai) pieno di… bolle d'aria compressa? Rumori bianchi? La ricerca timbrica viene portata alle estreme conseguenze, il tutto sostenuto da batteria e basso distorto, e accompagnate da singole note di chitarra allungate anzi, dilaniate, per poi concludersi senza preavviso, per un brusco risveglio dalla dimensione onirica in cui siamo stati trasportati. "Ishihara" è un lavoro gustoso, da ascoltare più volte, per scoprirne tutti i dettagli, e per fare lunghi viaggi con la mente, attenzione ai più sensibili perché può dare assuefazione! (Gilberto Ongaro)