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PICCOLI ANIMALI SENZA ESPRESSIONE  "Sveglio fantasma"
   (2017 )

A suo modo paradigmatico dell’oramai sfocata distinzione fra i superati concetti di indie e mainstream, “Sveglio Fantasma” è il terzo album dei Piccoli Animali Senza Espressione - ad oggi trio allargato alla penna di Annalisa Boccardi –, un lavoro oscillante fra pulsioni in apparenza antitetiche, straniante mistura anacronistica ed elegante cui riservare una lettura integrata, completa, totalizzante. Poco senso avrebbe scinderlo in parti, equivarrebbe ad estrapolare singole parole da un discorso, ogni episodio di “Sveglio Fantasma” riconducendo agli altri in un fluire magmatico rigonfio di un fascino atavico, incessante susseguirsi di armonie lievi, gentili, di matrice prettamente elettro-pop: l’allure di questo disco risiede anche nella sua costruzione non lineare, un intento profondo ed ispirato che attrae, confonde, irretisce. Scosso in apertura dalle contorsioni ammalianti de “La teoria delle stringhe”, ingorgo à la Subsonica impreziosito da un sontuoso chorus che ricorda Meg, “Sveglio Fantasma” riluce per l’insistito contrasto fra il canto flautato e melodioso, calcato fino all’ostentazione, dell’inusuale troubadour Edoardo Bacchelli, e basi che si arrovellano su suggestioni electro ed accenti jazzy (“La mia parte lagunare”, con il basso di Andrea Fusario che lambisce atmosfere à la Mick Karn), deviando in svariate occasioni verso un synth-pop antico ben corredato da testi che tradiscono una sensibilità femminile, intrisi di colori, immagini, sentimentalismo denso e portante (“Lupa”). Fra reminiscenze ricorrenti di un Battiato edulcorato (“Come il quadrato”), note sparse di Max Gazzè (“Il punto e la linea”) e pulsioni liquide più prossime ai 24Grana del “K album” che ai Depeche Mode più riflessivi (“Luminoso”, toccante lullaby ipnotica), i tre veleggiano in acque sicure fra le ombre lunghe di Garbo e Giuni Russo, imbastendo perfino un’aria à la Niccolò Contessa - periodo “Aurora” - che sfiora la perfezione formale (“In cammino”), lievitando su un chorus etereo e lasciandosi andare alla deriva su variazioni suggerite dalla chitarra prima della reprise conclusiva. Statuaria ed avvolgente “Vicolo d’oro”, quasi sette minuti di una pregevole aria fiabesca e melodrammatica, in cui echi di Amedeo Minghi si attorcigliano su un giro contrappuntato da archi e micro suggestioni di elettronica minimale: la chitarra di Filippo Trombi richiama in parte le tessiture astratte di Daniele Carretti negli Offlaga Disco Pax, ma pare anche riecheggiare il Phil Carney della “Smokey” dei Red House Painters, ricamando tre minuti di trame dilatate ed inafferrabili. Sulla dimessa aria pianistica di “Tracce separate” in chiusura aleggia lo spirito più autentico di un lavoro opulento ed intenso, forse ridondante a tratti, ma caparbio nell’inseguire un’idea di fusion avulsa da categorie o maniera. Poetico, impalpabile e quieto, “Sveglio fantasma” irradia una lucentezza tenue e fragile mentre ambisce a lasciar convivere in una nuova forma di comunicazione, mediata da una mutata sensibilità di ascolto, le molte anime di una musica in pacato divenire. (Manuel Maverna)