recensioni dischi
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JOHN MATTHIAS & JAY AUBORN  "Race to zero"
   (2017 )

John Matthias & Jay Auborn ci presentano "Race to Zero", un lavoro dalla musica al contempo statica e agitata, viva e sospesa. Elementi cardine sono la presenza dell'orchestra, dell'elettronica e del pianoforte, che dialogano sopra dei bordoni, cioè dei bassi armonici continui. In "Actress" questa scelta porta alla creazione di un'atmosfera da dramma orientale, essendo il riff melodico di pianoforte basato sulla scala pentatonica cinese. "Pretoria" invece propone un crescendo dinamico di grande effetto. "Caretaker" incentra maggiormente l'attenzione sul pianoforte quasi romantico, che suona spesso e volentieri la settima minore su pedale maggiore, e l'orchestra che resta sullo sfondo aumenta il senso di suspence. La tessitura elettronica "Wax heart" richiama la confusione percussionistica di "Blackstar", l'ultimo geniale capolavoro di David Bowie - che come al solito, ha anticipato o tracciato le tendenze future, anche questa volta - e sopra questa si snoda un basso virtuale poderoso come quelli di certi esperimenti di Jean-Michel Jarre; ma il pezzo termina a sorpresa con una viola lasciata da sola, immersa in suoni di uccellini resi tridimensionali. Il brano è attaccato al successivo in flusso unico, e così si passa a "Stone face", un 3/4 in cui ancora una volta il pianoforte contribuisce a creare un'atmosfera di mistero, mentre compaiono suoni di fiati virtuali e archi. "Tilted stage" invece fa paura come una canzone di Trent Reznor, con un basso elettronico tagliente e ossessivo alternato a note allarmate di pianoforte come quelle per un film horror anni '80. L'aggiunta della viola non fa altro che acuire quest'inquietudine affascinante. In "Every word a mask" invece si gioca con gli errori di processione del computer, con un loop di pianoforte che sembra "saltare" come su un vinile graffiato. In realtà il trucco è che sono tagliate le code naturali di decadimento del suono. Poi il pezzo si arricchisce di arpeggi, percussioni elettroniche e il tutto si fa molto avvolgente. Tale sensazione prosegue con "Soma Vapour", dove siamo circondati da rumori ariosi assieme all'orchestra. L'album si conclude con la lunga "Songbird", dove su un fondo elettrico, un arpeggio di pianoforte (che crea sempre il pedale di bordone) e una viola vibrante e trillante ci accompagnano per buona parte del tempo; successivamente il brano si fa più elettronico e distorto, in maniera graduale che se ci si distrae non si avverte alcun passaggio traumatico, il suono muta da naturale a virtuale senza forzature. Volendo parlare di geometria, ci sono musiche convesse, appuntite, che ti aggrediscono; e musiche concave, che ti accolgono, ti avvolgono e ti portano per mano. Il lavoro di John Matthias & Jay Auborn appartiene a questa seconda tipologia di musica, ed è adatta per colonne sonore, per creare situazioni di attesa e concentrazione. (Gilberto Ongaro)