recensioni dischi
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JOY AS A TOY  "Mourning mountains"
   (2017 )

Ci sono musiche nella scena alternativa che, bene o male, si riescono a codificare in maniera abbastanza definita. Con i Joy As A Toy, band belga giunta al terzo album intitolato "Mourning mountains", la cosa si fa più dura in quanto, certo, navighiamo in acque indie pop, però i riferimenti precisi restano sfuggenti. C'è un gusto generale per le atmosfere da film dell'orrore anni '50 - '60, di quelli in bianco e nero successivamente ricolorati, che creano quei contrasti irreali che acuiscono la tensione. Eppure non ci sono elementi alieni particolarmente innovativi, non ci sono didjeridoo, sitar, oppure distorsioni cattivissime o elettronica noise. L'originalità qui sta nella particolare disposizione dei vari elementi musicali riconoscibili, inseriti in maniera inusuale nella costruzione dell'arrangiamento delle canzoni, e l'uso di successioni armoniche molto interessanti. Per certi versi si tratta di musica psichedelica, ma non della psichedelia floydiana - a parte qualche sprazzo barrettiano e delle urla soffiate di Waters di "Careful with that axe Eugene" ritrovate simili in "Google a gun" - bensì di quella di stampo texano e messicano. A istinto la prima affinità spirituale e musicale si riscontra con i Calexico. Continuando a esplorare "Google a gun", il brano di chiusura dell'album, c'è un campanello di bicicletta inserito in un esperimento timbrico a dir poco inquietante; tutta la canzone è inquieta, le urla sopracitate sono un'interpretazione vocale allucinante, una "melodia" inafferrabile che sfocia in gemiti sopra dissonanze costruite a pennello. "Satisfaction key" è invece una ninna nanna acustica con cori dolci e sognanti. Continuando a risalire a ritroso la tracklist, "Hipsters of the apocalypse", uno dei brani più significativi dell'Lp, ha una strofa che si basa su due accordi di piano elettrico sostenuti però da una sola nota ribattuta di basso, creando un'atmosfera rarefatta. Il basso poi si rende protagonista, creando un groove particolare. Anche qui ci sono dei cori, più drammatici che in "Satisfaction key". Il ritornello, in 7/8, a dispetto delle aspettative si rivela più tranquillo e la voce principale sale spesso in falsetto. Il finale poi si ferma in un accordo non principale della tonalità, continuando la sospensione. Il bucolico videoclip di questa canzone rende davvero l'idea in immagini, girato in mezzo ai girasoli, contadini, bambini, oche e galline, il tutto filtrato dalla musica, che rende il familiare misterioso. In una parola, straniante. "Madhouse" presenta una chitarra garage e una voce che canta in modo arioso ma preoccupato, e la musica asseconda questa concitazione. A metà tornano i cori, che seguono delle armonizzazioni che non giungono mai ad una conclusione: la sospensione è continua e disorienta l'ascoltatore, e quando si concede un accordo che si possa percepire come conclusivo, un pianoforte tesse delle melodie completamente fuori tonalità che fanno spavento come le catene del fantasma di Canterville. "Misbehave" è introdotta dalla batteria e da una chitarra secca. La voce poi segue note gravi, e senza preavviso ci abbandona alle parole "until my misbehave". Infatti è proprio una cattiva condotta, non si fa! Siamo lasciati soli di fronte a un arpeggio minore di chitarra da brivido, accompagnato da un basso sinuoso come un gatto nero dal passo felpato, e poi da un suono che assomiglia al theremin. Dopo questo minuto mozzafiato la voce ritorna. Siamo al podio della tracklist. La terza canzone "Cowboy mode" propone una poliritmia tra chitarra e batteria; lentamente ci si abitua e si apre un indie pop zuccherato che volge sempre più tenero, sebbene anche stavolta non manchino zone buie con note acute di pianoforte e rulli di tom e timpano. Al secondo posto "Ghost train"; già il titolo suggerisce una presenza paranormale, enunciata dall'organetto dissonante che apre il pezzo. Il tema di tastiera dai suoni azzurri, e l'arpeggio di chitarra allarmato presentano il primo pezzo cantato dell'album, dove la voce, leggermente distorta à la Arctic Monkeys, resta per poco tempo da sola, venendo presto raggiunta dai cori, particolare marchio della band. E infine, il pezzo d'apertura "Action love" è uno strumentale dal tema principale oscuro ed intrigante, che esplora i suoni da creepypasta e li inserisce in un contesto pop davvero ben architettato. L'invito a chi ha letto sinora è quello di procurarsi l'album ed ascoltarselo nell'ordine corretto delle canzoni, cioè alla rovescia di quanto scritto qui, e sfido chiunque a non provare almeno in certi punti una seducente sensazione magica. (Gilberto Ongaro)