recensioni dischi
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ESSENZA  "Blind gods and revolutions "
   (2017 )

Nati nel 1993, gli Essenza giungono oggi al quarto album con uno status quasi di leggenda all’interno del panorama hard rock italiano. Dal Sud Italia si sono espansi su tutta la penisola proponendo una formula molto originale di rock/metal – ma con influenze blues, punk e prog – divenendo molto conosciuti e apprezzati da un pubblico piuttosto ampio. Il momento decisivo della loro carriera si situa probabilmente a quando decisero di cantare in inglese e non più in italiano, cosa che non sempre funziona – ma che nel loro genere è perfetta, e porta con sé un maggiore spessore internazionale. “Blind Gods and Revolutions”, che già dal titolo epico prefigura battaglie, lotte politiche e riflessioni religiosi mai banali e sempre controcorrente, parte forte con una tempesta di aggressività e filosofia: “Plastic God (An Autumn Dream)” non vuole violentare ma far scatenare l’ascoltatore, inserendolo in un vortice di energia contagiosa e positiva. Ci sono gli Iron Maiden, i Metallica, ma anche i Jon Spencer Blues Explosion e i Black Flag. Il rock duro e roccioso si scontra con ritmi blues, l’aggressività dell’interpretazione si fonde con momenti più melodici. “Bloody Springs” e “The Song Inside” continuano su questa falsariga, dimostrando definitivamente che la versatilità è ciò che distingue gli Essenza dalla miriade di gruppi italiani che propongo generi più o meno simili ma con poca personalità.

L’esplosione dinamitica è lasciata per la devastante “The Fury of the Ancient Witch”, le cui chitarre virtuose e velocissime creano un sottofondo perfetto alla voce mascherata e ghignante del vocalist. In “Lost and Blind” si sentono nuovamente le influenze dei gruppi classici del genere hard rock e metal: Led Zeppelin, AC/DC, Metallica sono fusi per portare l’asticella ancora un poco più in alto. “Fight for Change” cerca la melodia nei gorgheggi di chitarra e nelle sferzate di batteria, le quali però si mantengono qui come cornice e permettono alla voce di stagliarsi con forza e tenacia, conducendo il brano verso atmosfere quasi pop, con enorme sorpresa ma senza alcun tipo di forzatura.

La conclusione del disco è lasciata alla acustica “Seagulls in the Night”, che nei suoi veloci arpeggi ha qualcosa di celtico e magico. Stregoneria, gnomi, boschi incantati e vendette aspre compaiono nel corso del brano, che diventa pian piano una marcetta indemoniata. L’album termina con “Time (Keep My Memories Alive)”, una summa interessante di molte delle tematiche e dei ricami che il disco ha proposto. Le chitarre stordiscono, la voce affonda nel petto e nella mente di chi ascolta; e lascia con tanta soddisfazione per l’ennesima ottima prova di questa band ormai storica. (Samuele Conficoni)