recensioni dischi
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IL CONFINE  "Il cielo di Pryp'Jat"
   (2017 )

Da Brindisi arriva una band interessante, Il Confine, che tira fuori dal cilindro “Il Cielo Di Pryp’Jat”, secondo lavoro inserito in un percorso artistico che solca i sentieri del rock. Il titolo del disco è un omaggio alla città ucraina di Pryp’Jat, situata a tre km da Cernobyl e divenuta località fantasma in seguito al disastro nella centrale nucleare del 1986. Ercole Buccolieri (voce, chitarra), Mattia De Mitri (chitarra), Nicola Lezzi (basso), Fulvio Curto (batteria) e Annaclaudia Calabrese (voce e cori) danno vita ad un disco impegnato nei contenuti e graffiante nello stile musicale: la natura umana, il passato, le speranze verso il futuro e le scelte personali sono temi trattati nelle undici tracce che compongono il lavoro, che si apre con la travolgente “Eccedere E Cedere”. Un rock vibrante che parla dell’animo umano, della sua lotta tra la voglia di resistere alle fragilità e debolezze che ingannano, facendo vedere icone perfette ma irraggiungibili, e il cedere ad esse: l’eccedere e il cedere “sono i padri dei disastri del nostro tempo!”. Il ritmo pulsante della batteria fa da intro al rock rabbioso di “Tentacoli”, un attacco frontale contro i potenti dai volti sorridenti a coprire i ghigni, che con i loro “tentacoli scippano tasche e sogni”, attraverso “bugie che funzionano”. La title track suona radioattiva, come “Il cielo di Pryp'Jat”, luogo di desolazione, fatto di silenzio e di noia. Monta la rabbia nel testo e nelle sonorità, denunciando l’inganno ai danni di una popolazione costretta a lasciare le proprie case senza mai più farci ritorno, mentre le rovine della città rompono il silenzio della politica. “Abissi” rallenta il ritmo rispetto alle tracce precedenti ma mantiene intatto il pathos della voce, che si chiede “quanto tempo passerà prima di sentirci liberi?”, affrancati da una società che reputa vergognoso l’essere autentici. Il piano apre “Duemilacentotre”, con note malinconiche e crepuscolari che fanno pensare ad un momento di tregua, ma è un’illusione di pochi secondi che cede il passo alla denuncia, con un rock duro fatto di tempi e controtempi, con canti e controcanti, mentre in “Vitrei Dedali” si è condotti a metà del disco: qui una voce potente e accorata si fa carico di urlare “la nostra essenza, la nostra vera essenza, imprigionata in labirinti di chi sa, di chi ha creato i bisogni e ci ha reso schiavi”. Si tira il fiato con “La Sintesi”: qui il piano crea un’atmosfera enfatica, che conduce una voce calma ma che usa parole taglienti (“pioggia sui nostri volti, pieni di ferite trasparenti, celati da un sorriso falso perché il fianco non si scopre mai”). Un brano che si apre alla lirica ed alla sinfonia per poi crescere di intensità in amare considerazioni, guidate da un sound che esplode nel finale (“hai riempito pagine di sogni da inseguire, quel che hai fatto tu lo hanno fatto in tanti”). “L’Ultimo Giorno” è il brano più lungo del disco, e non si discosta dal rock impegnato nella denuncia dei malesseri umani, del senso di solitudine di fronte ad una società che non si cura delle individualità, mentre ne “I Paradossi Del Tempo” si viaggia “tra gli inganni della mente” per “creare la storia dopo la storia vissuta sin qui, cercare la forza di dire: ora basta” e “trovare il coraggio di essere forti e deviare la storia”. Le sonorità acustiche che aprono “Un Giorno Senza Vita” si trasformano in elettriche, spalancando le porte ad un’intensa rock ballad che prende per mano l’ascoltatore e lo conduce diritto alla chiusura energica e travolgente di “Concetto Di Dose” (feat. Ancla). Con il loro secondo lavoro i ragazzi de “Il Confine” si proiettano in un rock impegnato a scavare dentro l’animo umano ed a mettere l’uomo di fronte ad uno specchio per rivedere sé stesso, ma allo stesso tempo nutrono speranze in un futuro, non tanto lontano, in cui l’individuo possa essere in grado di liberarsi di quelle circostanze esterne che gli impediscono di spiccare il volo nella realizzazione di sé. Una sapiente fusione tra cantautorato e musica rock è al centro de “Il Cielo Di Pryp’Jat”, ed è questo l’aspetto che rende interessante un disco ben suonato ed espressione di una grande sintonia di gruppo. (Angelo Torre)