recensioni dischi
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THE KOMPRESSOR EXPERIMENT  "Douze"
   (2017 )

Un prog rock carico di forza ed espressività emotiva arriva dai Kompressor Experiment, formazione svizzera di quattro elementi che con l'album "Douze" ci propone dei brani tutti strumentali, dal sound un po' vintage, ma dalle strutture molto intriganti. "Eat yer brownie" parte con note dissonanti ma dimostra ben presto un impatto sonoro convincente, e anche un certo senso dell'umorismo dato che il bridge è totalmente distaccato di senso dal resto del pezzo: un levare con chitarra in wah wah dall'effetto comico. Emerge una scelta stilistica nella chitarra solista (ci sono due chitarre), che si ripete quasi in tutti i brani, che consiste nell'utilizzare una scala armonica maggiore "arabeggiante" (ovvero, per i tecnici: il secondo grado è un semitono, il sesto e il settimo sono minori). Questa scala dà un sapore avventuroso al riff di "Masal Eye", il cui tema melodico di chitarra ha una certa capacità narrativa. Nella seconda parte la batteria ci propone due variazioni di tempo, si passa da un 4/4 a un 7/8; ma gli esperimenti del compressore più significativi sono nel terzo e nel quarto brano. "Hog in the fog" intesse melodie armonizzate dalle due chitarre, e presenta un rock classico che si avvicina allo stile degli Atomic Rooster in "Ear in the snow". C'è un passaggio in palm-muting col wah, creando l'effetto porno-funky, che poi viene sostituito da un impavido 7/16 in crunch. La croccantezza di questa fase poi lascia spazio ad un andante con hammond psichedelico, e batteria ispirata esplicitamente da Nick Mason, con i quarti battuti sul ride e la cassa con i battiti à la "Echoes". Anche la chitarra a un certo punto sembra citare Gilmour nell'inciso melodico. Il brano sembra chiudersi nell'hammond che accende il rotore in chiusura, come amiamo fare sempre noi tastieristi... e invece poi c'è uno scherzo finale, riconfermando le intenzioni divertite della band che non si lascia mai prendere troppo sul serio, nonostante l'evidente bravura compositiva e tecnica. Poi è il turno di "Bronko", una suite dall'andamento rapsodico della durata di quasi 17 minuti, dove accade di tutto: un'ambientazione cupa in 7/8 diventa una ballata pseudo celtica, che poi si trasforma in un pesante riff da breakdown, un cambio funk che però non fa perdere di vista il sound hard, e poi finalmente un giro alt rock ossessivo diventa il chiaro protagonista del lungo pezzo, che infatti dopo un intermezzo acid swing ritorna, creando di fatto il primo "ritornello", sul quale la seconda chitarra esegue delle armonizzazioni fuori tonalità davvero spiazzanti. Un secondo clima oscuro, costruito con accordi diminuiti, ospita una conversazione telefonica, al termine della quale il riff si fa heavy, e la suite si conclude con suoni e rumori astrali. Tanta libertà ricorda un po' i lunghi giochi degli Ozric Tentacles. L'ultimo pezzo "Baamm", introdotto da un'atmosfera funerea scandita da una mesta campana, è caratterizzato da un giro doom à la Black Sabbath, dove la chitarra canta note allungate con il delay e suonate in maniera molto enfatica. Un crescendo inesorabile ci carica ma si arresta nel vuoto, lasciandoci con l'ultima campana che decreta la "morte" del brano, e dell'album. Un debutto molto interessante, questo de The Kompressor Experiment, che non necessita di un cantante per entusiasmare e trasportare gli ascoltatori. (Gilberto Ongaro)