recensioni dischi
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BEFORE AND AFTER SCIENCE  "Relics & cycles"
   (2017 )

Esistono ben poche nuove vie per il post-rock. Forse qualche mutazione, ibridazione, forzatura (penso ai Godspeed You! Black Emperor di “Asunder, Sweet And Other Distress” o ai Battles di John Stanier). L’alternativa è forse rinunciare a chiedergli troppo, e godersi appieno dischi come questo senza aspettarsi svolte epocali, semplicemente lasciandoli scorrere e perdendovisi. I Before And After Science sono un quartetto portoghese attivo dal 2009 già segnalatosi per l’ep di debutto “Vital Signs Of A Fallen World” (2013) ed ora al debutto sulla lunga distanza per la label Shunu Echo Tapes con le sette tracce strumentali di “Relics & Cycles”. Perdersi, questo il succo: come nei meandri degli otto minuti di “Labirinto”, che non sarà nulla di nuovo, ma che è un invito a smarrirsi in quella coda interminabile di elettricità in minore e in crescendo. Niente di più del copione insomma, ma anche il copione bisogna saperlo interpretare, che altrimenti lo spettacolo sarebbe regno dei guitti. Interessante il timido accenno di brillantezza che portano in dote: innestare linee melodiche di stampo evocativo, impressionista, quasi cinematografico, sul consueto tessuto di chitarrismo dilatato à la Mogwai. Tra frequenti movimenti in saturazione e qualche spigolosa asperità si affacciano intriganti tessiture chitarristiche che costituiscono la reale cifra stilistica della band: accade ad esempio nel delizioso intreccio centrale di “Nostalgia” o nell’altrettanto toccante sviluppo ondivago della nervosa e singhiozzante opener “Downburst”. Inquieto il tremolo di “Howling”, che dilaga in un tema di minacciosa incombenza, depistanti le dinamiche di “Poinsettia”, crogiuolo di riverberi ed oscure trame sul registro incupito e vagamente dissonante degli Ulan Bator, aria soffocante che chiude l’album su una cervellotica alternanza di piano/forte. A patto di ignorarne una certa prevedibilità, “Relics & Cycles” sfrutta comunque una produzione ben calibrata ed una scrittura che diviene più originale quando sa agganciare all’ispido tappeto ritmico una raffinata, quasi rarefatta armoniosità. (Manuel Maverna)