recensioni dischi
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AUDIAC  "So waltz"
   (2017 )

Hans Joachim Irmler, esponente indiscusso del krautrock, cofondatore dei Faust e instancabile sperimentatore, dopo la collaborazione con Oesterhelt in "Die Gesänge des Maldoror" riattiva un progetto che era rimasto congelato per 14 anni, quello del duo Audiac, composto da Alexander Wiemer van Veen e Niklas David. Il primo lavoro degli Audiac risale al 2003. Tante cose sono cambiate, da quel lavoro trip-hop. La firma anarchica di Irmler si sente nella costruzione dei dieci pezzi di "So Waltz", album appena uscito per Klangbad 74 Records. Ogni brano è un mondo a sé e difficilmente inquadrabile, se non nello sfuggente ambito dello sperimentalismo più puro, da leggere in chiave surrealista. Elementi riconoscibili vengono decontestualizzati e resi stranianti. "Gospels Unreal" ad esempio, la terza traccia, contiene voci in stile soul, che vengono fatte riecheggiare come in un'allucinazione; successivamente, una sequenza di accordi di pianoforte e di suoni orchestrali di synth vengono reiterati vorticosamente fino allo sfinimento, finché la musica non crea un ambiente: diventa essa stessa l'ambiente, l'ossigeno da respirare. La titletrack invece fonde un pianoforte registrato con riverbero da auditorium, a un ritmo di ride di batteria completamente fuori fase. Forse è una poliritmia raffinata, oppure sono proprio due tempi diversi uniti! Sopra a questi la voce sarcastica canta costantemente doppiata dalla sua versione pitchata verso l'acuto. Quando entra il suono leader di sintetizzatore, il suo volume sovrasta tutto, voci, piano e batteria. Tutte le regole del buon mix vengono buttate via, in favore di un disorientamento voluto. "People going places" fa scontrare pianoforte, viola e chitarra elettrica pulita, il tutto in maniera abbastanza asettica. Al contrario, in "Not bound to anything" il pianoforte leggermente swing accompagna la voce con più calore. "Ambulance music" è un dialogo tra un pianoforte sobrio e un moog dal suono tagliente che esegue un tema esatonale. Gradualmente il brano si arricchisce di un coro e di altri suoni imprevisti. Si continua con gli esperimenti in "Broke", dove suoni elettronici "rotti" sono alternati al pianoforte, e le voci non stanno mai ferme, né quella naturale né quelle effettate, ce le troviamo centrali, a sinistra e a destra in modo imprevedibile. Un bastone della pioggia subisce un leggero flanger, e altri impulsi disturbanti rendono il brano "sbagliato", nell'accezione più affascinante del termine, come per un Martini sbagliato. "Dreamadream" è costituita da un piano elettrico che suona in loop, mentre viene cantato il testo dello standard jazz "Dream a little dream of me", in maniera inusuale. Verso la fine dell'Lp arrivano le interpretazioni vocali più intense. In "Doberman" gli accordi di pianoforte vengono ripetuti con forza percussiva, mentre la voce, rabbiosa e disperata, graffia e sospira, riecheggiando Tom Waits: "I'm not ready for you not to be here". Il piano accompagna emotivamente il cantato, si può parlare di espressionismo musicale. La teatralità cresce ancora di più in "When you say my name", dove la voce sdoppiata viene lasciata sola per i primi due minuti, ed è un lamento più decantato che intonato, che porta parole amare: "It doesn't taste good at all". Nel resto del pezzo, accade di tutto. Il pianoforte fa un breve intervento, poi lascia spazio a dei cori e inizia un tempo di batteria che sembra avviare un ritmo pop, ma dopo una misura viene subito negato. Lo scherzo viene ripetuto più volte nel tempo, e nell'attesa che il ritmo si decida a partire seriamente (e non si deciderà), siamo invece accolti da violino e theremin, che accentuano la situazione dolcemente sofferta. Le progressioni sono continue ma mai risolte. L'album si chiude stranamente con una ballata in 6/8, "Lay down stay here", con pianoforte e batteria soft swing. I cori di tastiera fanno l'occhiolino a un certo afflato mitteleuropeo, ma non spostano l'intenzione generale della canzone. I movimenti delle canzoni seguono un andamento disordinato anche se mai aleatorio, ed è un piacere poter parlare ancora nel 2017 di nuovi frutti della musica cosmica. (Gilberto Ongaro)