recensioni dischi
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SPACEHEADS  "A new world in our hearts"
   (2017 )

Gli Spaceheads sono un duo britannico composto da Andy Diagram alla tromba e Richard Harrison alla batteria: sono sulla scena musicale da oltre vent’anni e portano tutt’ora avanti una ricerca sperimentale che li spinge a esplorare sempre di più e ad ampliare ulteriormente le possibilità del loro strumento. Il loro sound, infatti, è una contaminazione tra tromba, effettata, spesso in loop e coadiuvata da un harmonizer, batteria, percussioni e più in generale tutto ciò con cui è possibile creare una base ritmica, ed elettronica, dando vita a un dialogo musicale non inscrivibile in nessun genere specifico. Il 7 novembre, in concomitanza con il centenario della Rivoluzione Russa del 1917, è uscito il loro tredicesimo album, “A New World in Our Hearts”, pubblicato dall'Electric Brass Records e composto da tredici brani perlopiù strumentali, con l’eccezione di “Space Rebel” e “Laugh in the Face of Power” in cui troviamo anche del cantato. La scelta di instaurare questo rapporto tra musica ed evento storico nasce dalla volontà degli Spaceheads di trattare temi più che mai attuali legati ai conflitti politici e alle loro ripercussioni, ma soprattutto la rivoluzione come momento fondamentale nella storia di un popolo. Molti titoli sono riferimenti a citazioni, eventi o movimenti connessi a personalità di spicco in questo campo: “What is to be Done?” è il titolo di un phamplet politico di Lenin del 1902, mentre “A New World in Our Hearts”, usata anche come titolo dell’album, si rifà a una frase di Buenaventura Durruti nel conflitto civile spagnolo del 1936: “We carry a new world, here in our hearts. That world is growing in this minute”. “Space Rebel” comincia con “The most rebellious thing you can do, the magnificent: just be you, just be yourself”, frase che riprende le parole di Francesca Martinez, attivista per i diritti dei disabili, nel ridefinire il concetto di “normalità”. Ci sono poi riferimenti a massacri (“To the Child of a Wiser Day”), ai rifugiati (“Fanfare for the Exiles”) e alle proteste contro i cambiamenti climatici (“Sitting Down at Standing Rock”). Gli Spaceheads, insomma, cercano di attraversare epoche e tematiche diverse, riflettendo concettualmente ciò che mettono in pratica dal punto di vista musicale: una commistione, un coacervo di stili e influenze diverse, tra jazz, funky, rock ed elettronica, che i due rivisitano, amalgamano e rielaborano in una chiave del tutto personale. Accanto alle sperimentazioni più tecniche, legate a variazioni raggiunte con effetti, loop e dilatazioni, c’è un approccio anche agli oggetti quotidiani che, suonati, sono in grado di produrre ritmo e vengono elevati al rango di strumenti veri e propri, altro segnale della grande elasticità mentale dei due musicisti, che in questo disco non si risparmiano cambi di genere, ritmo, musicalità, con tromba e batteria come filo conduttore nella varietà di suoni che attraversano. In “A New World in Our Hearts”, gli Spaceheads sono riusciti a creare un prodotto fluido, versatile e contenente più livelli di ascolto, riuscendo anche in un’impresa per niente facile: dire senza usare le parole. (Bianca Bernazzi)