recensioni dischi
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SANDRA  "The long play"
   (1985 )

Ci aveva provato in tutti i modi. Da ragazzina, con una “Andy mein freund” dedicata al suo cane. Da adolescente, in un trio di fanciulle che imitavano i Boney M. Poco successo germanico (tranne l’aver trovato l’ammore in un tastierista di cui riparleremo), tanto in Russia e Giappone. Poi ci provò da solista, con una cover in tedesco di “Big in Japan”, chiamata “Japan ist weit”: flop. Allora via di dance, con muri di suoni epici et similia, pensò lei e il suo produttore-tastierista-fidanzato. Spopolò in Grecia, questa “Maria Magdalena”, e i tedeschi in vacanza se ne innamorarono, tornando a casa e scoprendo che il tutto veniva da una fanciulla di Saarbrucken. Fu il boom, per lei e per il suo pigmalione, quel tal Michael Cretu che duellava con la morosa per il top delle classifiche: la Maddalena da un lato, “Samurai” dall’altro. L’album di esordio era un pop garbato, senza i fronzoli o la banalità di troppe produzioni inglesi – vogliamo parlare delle carbon copy del trio Stock-Aitken-Waterman? -, e la vocina di Sandra a far da contraltare ai tanti effetti speciali prodotti dietro di lei. “In the heat of the night” e “Little girl”, con video girato a Venezia, i successivi successi. Ne uscirono anni di luci e, quando le classifiche iniziarono ad essere più avare, in casa ci avrebbe pensato l’uomo, a portare a casa i soldi, con il suo progetto Enigma. Lei si ritirò ad Ibiza, con i due gemelli avuti da Michael, dopo un anonimo “Fading shades” del 1995. Svezzati i pupi e portati a scuola, tornò nel 2002, ormai carne da revival, con “The wheel of time”: qualche ruga laddove un tempo le fossettine nelle guance sorridevano ai fans, e tanti applausi dagli over 30. (Enrico Faggiano)