recensioni dischi
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ALESSANDRO SERAVALLE  "Spielraume"
   (2017 )

Spesso mi capita di tornare su questo punto, la distinzione tra chi scrive musica mettendo a nudo il proprio sé, risultando quindi sincero e viscerale, e chi invece mette in scena la propria proiezione del sé, una maschera spesso narcisista e autoreferenziale. La stessa operazione può avere quindi due esiti diversi. Il caso di Alessandro Seravalle, fortunatamente, è proprio quello di un uomo che scruta dentro la propria oscurità, dalla quale far emergere qualcosa di artisticamente valido. Ostico, sì. Pesante, sì. Fine a sé stesso, no. Quest'album è composto da sei stanze dei giochi, e si intitola per l'appunto "Spielraume". I giochi sono costituiti da pochi elementi ridondanti, per cui non c'è la necessità di esaminare i sei pezzi minuto per minuto, anche perché il loro sviluppo è orizzontale, non narrativo né sequenziale, non c'è un inizio né una fine se non quella necessaria per tagliare i confini tra una "stanza" e l'altra. Nella prima c'è un pianoforte che reitera una sequenza di armonie sospese, disturbata ogni tanto da una voce che ripete, ogni volta senza preavviso, "Alone". La stessa voce tornerà negli altri capitoli pronunciando una sola espressione. Nel secondo la voce diventa femminile e ripete in maniera disperata "Come back", nel terzo "Wait", nel quinto "I'm sorry". Sono sempre parole che definiscono una situazione di paura, dolore, o sospensione. Queste voci che, ripeto, tornano in maniera casuale e ossessiva, sono la ciliegina su una torta, costituita da un'elettronica di lunghi sibili, esperimenti timbrici e modulazioni delle forme d'onda e delle frequenze, eseguite in modo lentissimo. Tutto ciò ha a che fare molto con la psicanalisi, l'esplorazione del sé e le sue dissonanze cognitive, l'isolamento dal reale, per entrare non nella fantasia, bensì nel surreale. Particolarmente disturbante il terzo capitolo, con suoni sintetici analogici che divengono urla lancinanti, lamenti ondulati. A volte sembrano trapani, che bucano il muro della coscienza. Il gioco, spiega Seravalle, è una dimensione in cui le regole stabilite diventano gli unici aspetti importanti dell'esperienza reale, ne manipola temporaneamente la percezione. Se ci fate caso, è così negli sport, ma anche giocando a fazzoletto, altrimenti detto rubabandiera, nella tensione dell'attesa di sentir nominare il proprio numero, per scattare più velocemente dell'altro. Oppure giocando a poker, cercando di carpire le mosse degli avversari con la stessa intensità con la quale un medico è attento a curare un paziente. Solo che il dottore sta lavorando e viene pagato, quindi è immerso nella realtà concreta. Il giocatore entra invece in una realtà virtuale. E finché si è concentrati su queste attività ludiche, non serve pensare al respiro, non si nota se sta piovendo o no, non si pensa alle infinite distrazioni forzate che la sopravvivenza ci impone. Ecco, questo tipo di attenzione è quello che Seravalle pretende da noi, ed è anche l'unica attenzione possibile per recepire la sua opera: quella totale, contemplativa. Forse può far scaturire anche negli ascoltatori qualcosa di loro stessi, che non conoscevano. E in ogni caso è sempre un bene, quando una produzione musicale ci obbliga a tornare alla cultura dell'Ascolto. (Gilberto Ongaro)