recensioni dischi
   torna all'elenco


JOHN CHANTLER, STEVE NOBLE & SEYMOUR WRIGHT  "Front and above"
   (2017 )

Permettetemi di scrivere in prima persona, per questa volta. Solitamente tendo a usare l'impersonale, per analizzare la musica in maniera più oggettiva possibile, cercando di capire, oltre alla musica in sé, il contesto dove nasce e le motivazioni più profonde che spingono l'artista a spingersi nella direzione scelta. Qui però è davvero arduo evitare un'impressione totalmente soggettiva. Stiamo parlando di free jazz. In questo 2017 abbiamo affrontato le litigate tra i sassofoni dei Led Bib intenti a imitare gli insetti, i clacson dei Reflections in Cosmo, quel maestro di Paal Nillsen-Love anche nel suo lato più eccessivo sfogato nei Large Unit, le deviazioni noise del progetto Atonalist. Ora, il tastierista svedese John Chantler incontra i londinesi Steve Noble alla batteria e Seymour Wright al sassofono, e tutti gli elementi incontrati nei lavori degli altri vanno a fondersi in questo "Front and above", registrazione del primo concerto dal vivo eseguito dal trio, con esiti del tutto diversi. E qui entriamo proprio nell'interpretazione puramente personale, senza pretesa di esaustività né di universalità. L'album contiene sei tracce, divise concettualmente in due fasi: "Front 1", "Front 2", "Front 3" e "Above 1", "Above 2", "Above 3". "Front 1" mi ha spaventato. Come gli amanti del cinema horror sanno a cosa vanno incontro, e lo ricercano, questo brano mi sembra costruito sulla rappresentazione della paura. Le urla del sassofono, via via più lancinanti e dolorose; i suoni secchi, privi di riverbero del sintetizzatore; la batteria agitata col rullante senza cordiera, vanno ad inscenare una violenza, descritta con claustrofobia. "Front 2", al contrario, gioca coi silenzi, col piano e il pianissimo. La quiete dopo la tempesta, ma più che quiete è un tentativo di rimettersi in piedi dopo il pestaggio di prima. I rumori sono piuttosto onomatopeici. La situazione continua in "Front 3", con una maggior tensione creata dai costanti sibili sintetici. Con le prossime incisioni lo scenario è completamente modificato. Dall'esplorazione interiore usciamo nel simulacro dell'ambiente esterno. "Above 1" è una giungla, dove gli animali emettono i loro versi, e sembrano essere più di tre. In "Above 2" Wright esegue un lungo e lento glissato di sassofono da togliersi il cappello. Nel frattempo Chantler trova i timbri giusti per far partire dei veri e propri allarmi, ai quali Wright risponde insistendo ad eseguire in alternanza la nota più alta e la più bassa del proprio strumento. A parte il notevole sforzo fisico necessario per una simile performance, lo straniamento di chi ascolta è totale. Noble con le bacchette crea dei trilli coi quali dialoga con il resto degli avvenimenti, che terminano senza preavviso. Infine "Above 3" vede Chantler alla creazione di fischi elettronici, tanto acuti che si avvicinano alla soglia dell'inudibile assieme ad altri fastidi sonori, mentre il sassofono miagola timidamente, e il batterista, oltre ad indugiare gradualmente sui piatti fino ad ottenere delle cascate d'acqua, talvolta gioca coi ferri che sostengono i fusti; sembra usi più degli attrezzi da giardinaggio che una batteria. Il trio trascende i propri strumenti. Forse è qui, in questo "Front e Above", il vero obiettivo del free jazz: non l'espressione anarchica dei musicisti in senso ribelle, né battere il record di maggiori dissonanze e di rumore. Il free jazz è liberare la musica da qualsivoglia struttura, anche atonale, per arrivare ad un ascolto puro, privo di regole sia accademiche che antiaccademiche. E la musica così può diventare anche altro da sé, in una sorta di surrealismo musicale. Nell'improvvisazione continua, i musicisti non eseguono né assoli né confusione giustificata da un qualche concetto intellettuale prestabilito attorno al quale girare: emettono semplicemente suoni e rumori, assecondando il loro istinto e stimolando quello dell'ascoltatore. E Chantler, assieme a Noble e Wright raggiungono questo non scontato intento. (Gilberto Ongaro)