recensioni dischi
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SUPERBA  "Non seguo la cura"
   (2018 )

“Non Seguo La Cura”, cavallo di ritorno per Alka Record Label del quartetto vicentino SupErba (con la "e" rigorosamente maiuscola...), è uscito a novembre, ben due mesi fa. Da quando l’ho avuto per le mani l’ho ascoltato sette o otto volte, in momenti diversi. Ho tardato a parlarne: qualcosa non mi convinceva fino in fondo. Eppure: qualcosa mi spingeva a riprovarci. Poi una sera in metrò – eletto angolo d’ascolto assurdamente intimo -, più o meno alla fermata di Romolo, mi è sembrato davvero un bel disco. Diretto, con dentro un sacco di quelle cose che tanto mi piacciono da almeno una trentina d’anni. Il basso, la batteria, ecc. La voce di Keti Pertegato, limpida, squillante. Le linee melodiche, quasi anni Ottanta, ma anche no. E i ritornelli – esistono ancora! -, le cose semplici fatte in modo semplice. Mi sono venuti in mente i Vidra e Donatella Rettore, ho scordato gli esili retaggi di un punk primigenio à la Lilith ed ho tenuto con me tutto il pop di questo mondo, declinato in otto canzoni facili, essenziali, immediate. Non scontate, né prive di una delicatezza tanto gentile da renderle perfette per svariate occasioni, come un paio di jeans. Un disco nel quale tutto va come deve andare, senza mai sbavare inchiostro sopra le righe o infilarsi in chissà quale vicolo cieco. Nel mezzo del cammin dipingono pure “Le Stelle Che Parlano”, rallentata e carezzevole, triste come una veglia funebre. Una canzone che rimane degna di meraviglia, capace di usare parole lievi per disegnare immagini di disarmante nitore. Il resto sono sette sassate. Pezzi asciutti, dritti come spade. Basilari ed incisivi, puliti e composti. Sfacciatelli a tratti, come il singolo “Anestesia”, incalzante, spigoloso, irriverente; o come il trittico iniziale “Io Sono Perfetta”/”La Maschera”/“Felici e Contenti”, tre botte squadrate di retro-wave incupita e pungente come si soleva fare e come – manco a dirlo – non si fa più. Una gioia starli ad ascoltare nel 4/4 quasi mouldiano di “Splendido”, tre minuti di piccola perfezione con un ritornello – l’avevo detto, no? – che si eleva statuario su una storia di adolescenza perduta ed un mare di ricordi color pastello. Quando infine - in un crescendo emozionale di costipata intensità sospeso su uno scorcio d’altri tempi - chiudono l’album sull’ingorgo à la Cure de “Sulla Mia Pelle”, altro denso frammento di vita passata che m’è dolce riassaporare di quando in quando, mi pento e mi dolgo di non averlo capito subito, questo messaggio in bottiglia. Scusate il ritardo. (Manuel Maverna)