recensioni dischi
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COLLA  "Proteggimi"
   (2018 )

I Colla sono un trio vicentino formatosi nel 2016 che incide nel corso del 2017 l'album d'esordio "Proteggimi". Il lavoro fa ascoltare un sound a metà tra il punk rock americano e l'alt rock italiano, ricordando un po' la direzione scelta dai Management del Dolore Post-Operatorio. I tre musicisti provengono da diversi gruppi, dei quali mescolano le influenze: Simone Pass dai Polar For The Masses al basso, Mauro Poli dai Soyuz alla chitarra, Davide Prebianca dagli Oltrevenere alla batteria. Elemento che caratterizza i Colla è che cantano tutti e tre, spesso rinforzando le melodie principali e talvolta facendo coro. I loro testi si legano alla terra d'origine, quella provincia dove non accade niente: il marziale 6/8 "Vicenza" è una dedica di amore-odio, quella sensazione che mescola rifiuto e affetto per una città che ti cresce e ti segna l'infanzia, e poi ti lascia a te stesso. Perciò i Colla la invocano come una donna: "Vicenza svegliati, che facciamo l'amore, Vicenza svegliati che domani si muore". Alla fine il testo diventa esplicito: "Vicenza scopami che poi imparo ad amare". Il disagio per la città è sparso anche in altri brani: in "Qualcosa accadrà" si mette in evidenza il distacco tra anziani e giovani: "La festa ubriaca di sera, barcollavo tra i boschi e la luna mentre i vecchi pregavano in chiesa". All'inizio però la canzone offre una suggestione nostalgica: "I bambini giocavano in strada, e sua madre faceva la spesa". Quindi questa duplicità di sentimenti è costante, ma l'aspetto principale è l'attesa passiva di un cambiamento: "Forse domani qualcosa accadrà, la gente spera qualcosa accadrà". "Fine novembre" sembra parlare della fine di una storia, ma caratterizza il tipo che canta: "Bastardo e spesso amabile, abbraccia il tuo colpevole". L'ironica "Balordo" si focalizza su questo concetto: "Mia madre mi disse che ero un balordo, ero la somma dei suoi viaggi..." e la chitarra abbandona momentaneamente la distorsione, per preferire arpeggi puliti, e la sessione ritmica si riempie di clap. Si ritorna in marcia con "Per la sua rivoluzione", anche se sempre a tempo dimezzato, dove Marta, una studentessa di fisica nucleare che non trova lavoro, "stasera esce per la sua rivoluzione", mentre gli altri continuano a non capire cosa succede attorno a loro. Forse si riferiscono a Marta Fornaroli, ragazza di Crema che appena ventenne è riuscita a farsi ammettere ad uno stage al Cern a Ginevra. Come al solito, molti per farsi valere sono costretti a sconfinare. Un divertente intro messicano introduce "Non sono indie", manifesto programmatico che si discosta da quello che è diventato una moda vuota: "Non sono indie, non ho la tua barba e non gioco nemmeno a golf, non sono indie, non ho il giusto stile". A questo pezzo corrisponde la schitarrata più dura. Il testo la seconda volta si ripete quasi uguale, cambiando "barba" con "barca", sottolineando quanto questa tendenza indie, dall'indipendenza dal mainstream sia diventata anch'essa uno status symbol per ricchi priva di significato. "Chiedilo ai Ramones" è un altro 6/8 potente e dove la coralità del trio è particolarmente efficace: "Posso viverci con la mia precarietà, possiamo crederci, non è una singolarità". Il pezzo evoca una coscienza di classe che sembra persa nei più giovani. Ognuno dei precari che siamo sembra chiuso nel suo microcosmo, quando dovrebbe notare che siamo nella stessa barca. I Colla lo vedono e ne cantano: "E' possibile radunarsi fuori casa, sotto un salice nelle piazze in riviera? Chiedilo a Sofia, ai partigiani, chiedilo ai Ramones, ai pellicani". L'album è un crescendo di intensità, infatti per ultima c'è "Terra", dove fa capolino il veneto migliore: quello che non rinnega la campagna da dove arriva, anzi la ama. "Siamo nati qui in questa pianura, (...) non voglio più distruggere certe cose che son dentro me (...) Ventimila giorni questa terra. Le sue gambe, odor di fiori, cura la vendemmia, il carro, il succo d'uva". Questa visione romantica si contrappone all'altro veneto medio, quello più tristemente noto: "Ho le palle ma non è un dovere, l'arroganza è solo il tuo mestiere". Anche se i testi sono un po' vaghi, qualcosa di sottile li rende perfettamente comprensibili. Forse perché chi scrive è padovano, ma le canzoni evocano nel complesso qualcosa di familiare e bello, facendo voler un po' più bene a questo territorio così pieno di brutti luoghi comuni. (Gilberto Ongaro)