recensioni dischi
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ORCA  "Estinzione"
   (2018 )

Se considerassimo la Terra una testa, molti vedrebbero gli umani come dei pidocchi. Per guarirla, l'unica soluzione è eliminarli. Gli Orca probabilmente condividono questa filosofia, e il loro rock post apocalittico è un'intrigante rappresentazione musicale di questo pensiero. L'album "Estinzione" è una mitragliata di visioni angoscianti e di temi macabri ricorrenti, in particolare il cannibalismo, con un approccio di ricercata morbosità. La voce è un urlo, a volte vira anche in growl. Non siamo però di fronte all'ennesimo progetto dark metal. L'elemento metallico è assente, in favore di un suono più corrosivo, e meno da carro armato. La titletrack apre l'album proponendo questo particolare sound di chitarra, grave, pesante e con dissonanze, ma in qualche modo diverso dal noise più prevedibile. Nonostante le intenzioni distruttive, la band sa costruire dei groove efficaci. La voce grida: "Prego per l'umanità, prego per la sua estinzione. Stringi la tua gente, portala con te, l'ultimo respiro, poi due passi avanti e il salto". Gli arrangiamenti sono ricchi di suggestioni post rock, come le distese di chitarra riverberata ne "Il sale", che inizia con un oscuro pianoforte. Il sale a cui si riferisce il testo è quello presente nell'acqua (o nella saliva?): "Quelle gocce che invece di cadere te le metto in bocca, e cambiano colore". L'andamento strumentale drammatico conferma le parole che arrivano dall'inconscio: "(...) la maggior parte delle cose che pensi e che immagini contengono qualcosa di terribile, qualcosa che non puoi per nessuna ragione condividere". La dissociazione continua in "Spasmi": "La testa va troppo veloce, e il corpo indietro, si offende". La donna nella nevrosi viene protetta da lui "come una bestia feroce a guardia di un tempo". "Era Nera" inizia con un ritmo ammaliante, quasi arabeggiante, con la viola che incupisce ulteriormente l'atmosfera. Il lato morboso si manifesta in maniera surreale, con immagini di buñueliana memoria: "Formiche sulle punte delle dita". L'immagine, proveniente dal film capolavoro "Un Chien Andalou" di Dalì-Buñuel, indica un desiderio inconfessabile, che formicola sulle mani. E come un Joker col rasoio in mano: "Le hai tagliato gli angoli della bocca, per riuscire a mangiarle la faccia; ma ti danno fastidio i suoi lunghi capelli in gola. Ti divora, ti sputa, ti mastica, ti ingoia". Nell'ambiguità tra orrore tragico e decadentismo compiaciuto, il brano termina tra urla e costante indugio su tonalità minori suonate fortissimo. Torna lo strano sound dissonante di inizio album in "Rettili", pezzo che ipotizza e spera in una lotta tra Dio e il diavolo: "Dai, magari, che si fanno a pezzi". C'è una sostituzione della divinità, secondo gli Orca, quella a cui le persone pregano sarebbe a loro insaputa il signore oscuro: "Non puoi distinguerlo tra tutti questi artigli". Voci di testimonianze di vittime di un potere autoritario, che potrebbero essere dei deportati dal nazismo come dei vari nazismi che tuttora esistono dietro altre bandiere, sono l'introduzione di "Non capivamo", brano che accoglie nel suo duro corpo un carillon che ci porta in un incubo: "Con gli arti immobili e un sapore strano in gola, volevo correre ma non potevo...". Questo pezzo, tanto vago quanto chiarissimo in egual misura, parla di vittime invisibili che emergono: "Gridavano forte, noi non capivamo per niente, solo sentivamo l'odore, l'odore delle loro paure (...) vedendo le case bruciare". Torna di nuovo il bestiale in "Baratro" ("Accolto a braccia aperte dal cannibale"). Da notare il pianoforte che, sopra i plumbei riff esegue dei brevi trilli; compaiono anche dei cori di tastiera dal gusto dei Goblin. Chiude l'album uno strumentale molto diverso dal resto, dove il pianoforte non è solo fiancheggiatore ma protagonista di un'allucinazione, con parti elettroniche e psichedeliche: in una parola, "Delirio". "Estinzione" è il coerente sviluppo intellettuale e musicale dell'Ep del 2015 degli Orca. Tanta paura, tensione, ed emozione per un verdetto per l'umanità che, seppur nascosto tra le pieghe dell'inconscio, sempre più persone condividono. (Gilberto Ongaro)