recensioni dischi
   torna all'elenco


RUNAWAY TOTEM  "La traccia"
   (2018 )

Creare musica significa dare forma e sostanza alla propria anima, appagando allo stesso tempo i bisogni di altre anime che, attraverso l’ascolto, sono in cerca di sé stesse. Un’anima racconta una storia attraverso una canzone di pochi secondi o anche attraverso un intero disco, usando diversi linguaggi che possono essere semplici e diretti oppure criptici, mistici, spirituali ecc. I Runaway Totem, progetto musicale nato nel 1988, hanno scelto una via comunicativa la cui fruizione non è appannaggio di un pubblico che ricerca il linguaggio lineare del rock e la leggerezza del pop, ma si rivolge agli amanti di un linguaggio complesso, metaforico, pomposo e per nulla popolare, come quello incarnato dal rock progressive, contaminato da venature psichedeliche. In questo periodo, in cui impazza il festival della leggerezza, della musicalità smielata, della retorica sui temi attuali o del nonsense che si traveste di volgarità per spiccare il volo, il rock progressive rappresenta un punto fermo per riscoprire la propria anima. E’ vero, l’impatto non è immediato e chi galleggia sulla superficie del mare musicale non sarà mai pronto ad immergersi nelle profondità di uno stile che porta a scoprire mondi sonori nuovi. “La Traccia” dei Runaway Totem conduce l’ascoltatore alla riscoperta di sé stessi attraverso la narrazione di una storia sottoforma di imprevedibilità musicale, fluttuanti correnti emotive che agiscono negli abissi della propria coscienza. Raffaello Regoli (voce, sintetizzatori), Roberto Gottardi (tastiere, chitarra elettrica) con Giuseppe Buttiglione (basso), in settanta minuti stravolgono i limitati canoni musicali per aprire l’orecchio a quattordici tracce che si proiettano nel cosmo e sanno di infinito. Respiri, voci distorte, clima surreale e inquietante sono il “Prologo” di un viaggio che si apre alla narrazione di un tempo iniziale, in un luogo senza volto e senza nome, e introduce ad un biblico “In Principio”. Fuoco, notte, stelle, occhi e fiere sono i protagonisti che si uniscono al “Sacro silenzio di Dio”. L’uomo abita la Terra e il tempo in solitudine alla ricerca di sé stesso e dei suoi simili. Sonorità inquietanti accompagnano una narrazione che si tinge di fosche e cupe atmosfere floydiane, mentre chitarra acustica, synth e basso creano un clima surreale e rarefatto che genera timore. Le voci narranti di Tamara Zucchi e Marzia Bagnoli prendono il sopravvento in “Oltre Il Tuo Nome” e si alternano a Raffaello Regoli, in un dialogo che si mescola con sonorità apparentemente senza senso ma che generano un’inquietante armonia e introducono i passi dell’uomo alle quattro tracce successive che prendono il nome dai quattro elementi della natura: “Acqua”, “Aria”, “Fuoco” e “Terra”. “Acqua”, madre di tutte le creature, antico principio senza fine, custode di forme e sostanze, genera la stasi nel riflesso del cielo ma anche devastazione nel suo dirompente e travolgente insinuarsi superando ogni ostacolo. Aspetti contraddittori e contrapposti, caos e armonia, bene e male: tutto questo emerge nei sei minuti di “Acqua”. Stessa contraddittorietà si impadronisce di “Aria”, in cui il suo fluttuante aleggiare potrebbe essere una piacevole brezza leggera ma anche una furia travolgente in cui tutto soccombe sotto la sua forza. Suoni elettronici si sposano con la psichedelia e accendono un “Fuoco” divorante, mentre una voce delirante ricorda a primo impatto Roger Waters che in “Ummagamma” racconta “Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict”. Suoni e rumori sinistri parlano di “Terra”, luogo ferito, “ventre oscuro con molte braccia intrise di fango e di pioggia”, luogo di protezione ma anche di morte. L’elettronicità si fonde con la solennità di una narrazione che vuole scuotere l’animo dell’ascoltatore in “Qualcuno”, “Qui”, “Soffio” e “Noi”, in cui la teatralità regna sovrana in quel dialogo delirante tra due entità del cosmo. “L’Uomo All’Incrocio”, in un clima di stasi e quasi “rottura” con ciò che precede rispetto a quanto già sentito, si pone più volte la filosofica questione se sia “Dio a chinarsi” o “la storia nel volto dell’uomo”, e tra vocalismi ed elettroniche rarefazioni stabilisce un labile confine tra un passato ancestrale e un visionario futuro. Con “Senza Preavviso” si prosegue nel teatrale excursus filosofico e dialogo sull’uomo e la sua essenza nel tempo, tra ordinati “cori angelici” e caotici “ritmi tribali”. Dalla brevità del “Prologo” (poco più di un minuto e mezzo) si passa alla lunghezza dell’ultima traccia, “Tregua”, che, in quasi undici minuti, chiude un lavoro che, come già anticipato, non è rivolto a mediocri ascoltatori. Vocalismi che, senza pretesa alcuna, rimandano alla maestosità vocale di Demetrio Stratos e si alternano a cori rarefatti intervallati da sonorità elettro-psichedeliche. Un lavoro, quello dei Runaway Totem, che non è fatto per un pubblico usa e getta, ma nello stile progressive mira a penetrare nell’animo umano esplorandone i non agevoli confini e scuoterne emotivamente la coscienza. Un disco introspettivo, cervellotico, senza tempo e senza spazio, che mette in campo la filosofia e la teologica ricerca delle origini del cosmo, il tutto attraverso la cura meticolosa degli arrangiamenti, delle sonorità e della finezza stilistico-testuale. (Angelo Torre)