recensioni dischi
   torna all'elenco


DADAMATTO  "Canneto"
   (2018 )

Da 15 anni a questa parte, una cosa è certa: ad ogni nuova uscita, i marchigiani Dadamatto ti fanno trovare sempre qualcosa di diverso. Dimenticate la psichedelia e gli strati sperimentali degli albori così come il progredire con influenze pop e folk, in quanto “Canneto” marca la capacità d’improvvisare e sperimentare con una coralità vistosa e virtuosa. E, visto che il mondo è gonfio di parole e di tematiche dette tanto per dire, han pensato bene di lasciare, sovente, più spazio alla musica, quasi a testimoniare un grido di assuefazione al nozionismo sterile che ci circonda. La title-track è un mantra funebre che mostra evidenti segni di intolleranza verso la saturazione ideologica. Il power-trio di Senigallia è un “Vulcano” attivo, con un post-rock ossessivo e sospeso tra fitte trame noise. All’interno del loro “Impero” ci scovi bizzarrie, distorsioni e fughe impazzite di chitarre nevrotiche. Segue l’educata rabbia di “Pilade”, che lancia quel desiderio di repulisti concettuale, con andamento dinoccolato che farebbe gola persino agli Oasis. Nella globalità, si coglie quel gusto retrò, specialmente nell’intercalare del singer Marco Imparato che ci riporta, anche con “Sperma” e “Zanzare”, al beat anni ’60 mescolato all’indie, come se i Rokes fossero posseduti da Deerhoof e Liars . Il canneto simboleggia l’oasi individuale da perseguire per riassestarsi nei frangenti di sana solitudine, e la band dimostra, oltremodo, stimabile coerenza preferendo (per questo lavoro) l’autoproduzione ad una label. E chi ci crede quando tuonano che: “non c’è più spazio perché sono finite le cose da dire…”? Oltre a considerarla una ludica provocazione, crediamo (piuttosto) ad una forte spinta emozionale per dar adito a quella personale metamorfosi che si auspica da tempo, per riemergere dalla stagnante palude discorsiva che affossa il livello culturale. Nell’appiattimento collettivo che regna, i Dadamatto difendono il baluardo della diversità con un album che dà un esempio concreto e tangibile di come si possa essere fieri di isolarsi da ogni logica commerciale e rappresentare, a testa alta, l’effige dell’underground di qualità. (Max Casali)