recensioni dischi
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FABRIZIO DE ANDRE'  "Vol. 8"
   (1975 )

Dopo i grandi e impegnativi dischi a tema degli anni precedenti, questo è un po’ un ritorno alle origini: una serie di canzoni riconducibili alla sfera dei sentimenti privati. Svanito lo spirito di ribellione che animava “Storia di un impiegato”, l’unica rivolta possibile è quella individuale, la fuga dalla realtà è “evaporare in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte” (“Amico fragile”). Questo album dai toni delicati è frutto di una collaborazione, rimasta unica, con l’allora emergente Francesco De Gregori, all’apice della sua vena creativa (è l’anno di “Rimmel”). Si sente molto in “Oceano” e “Dolce luna”, dove le tipiche espressioni “degregoriane”, un po’ sibilline, rendono ambienti e personaggi sfumati, irreali. Interamente di De Gregori è “Le storie di ieri”, ma con un insolito realismo, oltre ad indubbie doti profetiche nel vedere il pericolo di un nuovo fascismo nascente, i cui capi hanno “facce serene e cravatte intonate alla camicia”, ma non per questo sono meno pericolosi. “La cattiva strada” (di entrambi) sembra più tipica di De Andrè. Il protagonista di questa canzone semina scompiglio e turbamento nei luoghi del potere (alla parata militare, in un tribunale) ma anche tra gente esclusa, come un alcolizzato o una prostituta. Come una specie di pifferaio magico alla rovescia, si porta tutti dietro sulla “cattiva strada”, quella della trasgressione. “Giugno ’73” è l’addio alla “buona strada”, cioè ad un tranquillo matrimonio borghese, un addio critico ma anche affettuoso: “Io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”. “Canzone per l’estate” è un altro spaccato di vita tranquilla, perfettamente ordinata quanto inutile. “Nancy” è tradotta da Leonard Cohen, maestro di ritratti femminili di grande profondità, che qui riesce a tracciare un personaggio se possibile ancora più commovente e tragico della celebre “Suzanne”, anch’essa tradotta da De André. Nancy è un simbolo della solitudine mascherata da un’apparente libertà di costumi (“dicevamo che era libera, ma nessuno era sincero”) che troverà la sua ribellione, e la pace, solo nel suicidio. Lacrime sicure: basta essere un po’ più sensibili di un paracarro. Difficile anche rimanere indifferenti ad “Amico fragile”, forse la confessione più intima e personale che De André abbia messo in una canzone. L’amico fragile, che si isola dai giochi meschini della società per coltivare le sue illusioni e i suoi ideali in modo solitario, è l’autore stesso, bollato come fragile dalle cosiddette “persone normali”, quando invece rispetto a “loro” è, o comunque si sente, “molto più curioso, molto meno stanco, molto più ubriaco…”, anche se non lo sbandiera. Ancora più toccante nella sofferta interpretazione “live” con la P.F.M., chiude degnamente un grande disco. (Luca "Grasshopper" Lapini)