recensioni dischi
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JOCHEN ARBEIT & PAOLO SPACCAMONTI  "Cln"
   (2018 )

C.L.N. era la sigla che indicava il Comitato di Liberazione Nazionale, organizzazione politica e militare nata a Roma nel 1943 per dirigere la Resistenza antifascista. Lungi dall'essere un lavoro storico-politico, quest'album "Cln" si ispira alla piazza di Torino che porta tale nome. Il duo di chitarristi che ha realizzato questo lavoro ambient sono Jochen Arbeit, già membro degli Einstürzende Neubauten dal 1997, e Paolo Spaccamonti, che ha già collaborato con artisti italiani ed internazionali e mantiene un approccio sperimentale nella composizione. I sette brani dell'Lp sono una mezz'ora di esperimenti di due diverse menti, che spesso intervengono sul timbro in maniera tale da renderlo irriconoscibile. Fin da "I", sembra di avvertire un suono d'organo, cosa che non è, e dev'essere la firma delle ricerche di Arbeit, sopra la quale Spaccamonti indugia su tre note, la terza minore, la settima minore e la tonale dell'armonia sostenuta. L'ambiente è meditativo, ma "II" accende la distorsione, sempre comunque stirata e volta alla creazione di un'atmosfera. Anche gli armonici vengono "tirati" nel bending, mentre si ripete un loop di suoni di chitarra acustica, talmente modificati da sembrare un arpeggiatore elettronico. "III" è un viaggio psichedelico, tra battiti di cuore e ripetizioni di brevi sirene e successivamente ci sono note singole dal gusto quasi orchestrale (ricordiamo che è tutto ottenuto dalle chitarre). Il tutto viene stranamente concluso con accordi riverberati in tonalità maggiore, che sono riconcilianti rispetto all'ambiente ostile finora ascoltato. "IV" più o meno segue la stessa struttura: tanto buio fino alla luce finale, però qui una delle due chitarre si fa riconoscere da subito come tale, ed è il pezzo col sapore più post-rock. In "V" ritorna "l'organo" che diventa un brillante tappeto lisergico, sul quale la chitarra gioca su un vago sentore blues. Anche "VI" è un viaggio in una galleria oscura che poi finisce al sole, però a differenza di "IV" l'effetto è meno plumbeo e più allucinatorio, più onirico. Infine "VII" riaccende la distorsione suonando in tonalità maggiore tutto il tempo, giocando coi battimenti delle note più basse e chiudendosi senza preavviso, come con un interruttore. Sono però esperienze da ascoltare, le parole qui utilizzate non rendono la reazione che si può avere; di certo, l'esperienza di entrambi gli artisti si fa sentire, nel dimostrare quante potenzialità hanno le chitarre suonate in maniera non convenzionale. (Gilberto Ongaro)