recensioni dischi
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PORNO TEO KOLOSSAL  "Monrovia"
   (2018 )

Indefinibile a qualsiasi livello di analisi, “Monrovia”, pubblicato per la coraggiosa Dischi Bervisti (qui il link per streaming, download e acquisto del disco: https://dischibervisti.bandcamp.com/album/monrovia-mmxvii) ed in contemporanea per la gloriosa etichetta francese Bam Balam Records, è l’ultimo complesso capitolo nella parabola dell’oscura band torinese Porno Teo Kolossal, tuttora in splendido divenire – dall’esordio “Solamente Il Buio” (2012), passando per il titanico “Tannoiser” (2015) - all’interno di un percorso che rifugge da ogni barlume di linearità. La mente dietro al progetto è quella di Massimo Divenuto, protetto da un alone sciamanico e celato alla vista ad imbastire un hellzapoppin’ inquieto tra In Zaire, Heroin In Tahiti e Squadra Omega: è un bestiario da sideshow, voci lontane camuffate da effetti, brandelli di Flaming Lips, echi sparsi di Suicide, avanguardia, distorsioni, feedback allo stato brado, Tim Hecker o i Mono, i primi Pink Floyd o Blixa Bargeld, un tritacarne assimilabile ad una sorta di teatro dell’assurdo in tre lunghe tracce per un’ora di musica singhiozzante, asfittica, decadente, claustrofobica, marcescente, contorta e dispettosa talora al limite del fastidio uditivo, ma capace di narrare in fogge impreviste la storia sottesa al suo incedere marziale ed ondivago. Inscindibile dalla simbologia occultata sotto la metafora concettuale che funge da architrave, “Monrovia” è di fatto un plumbeo concept incentrato sul parallelismo tra la condizione umana – sofferenza, fuga, sopravvivenza - e l’eroico isolamento delle poche scimmie sopravvissute alla sperimentazione che abitano l’eden (ir)reale della cosiddetta Monkey Island, isolotto sul fiume Saint John nei pressi della capitale liberiana. Lavoro labirintico denso come pece, è eccelso nel suo insistito peregrinare ben al largo di tutto, inglobando elementi post-rock, suggestioni apocalittiche, tensione spasmodica, elementi cinematografici, rumori ambientali, interferenze assortite, campionamenti, sfregi e sberleffi, grida parossistiche, miraggi space, derive psych, tribalismi, sperimentazione vibrante, delirio sci-fi, rigurgiti industrial, Zang Tumb Tumb e Finnegans Wake. Viaggio psicotico dall’enorme potenziale evocativo, ammannisce uno spettacolo di arte varia squarciato di continuo da recitativi di crudo realismo, spettrale nel suo incessante movimento free form mai incline al prevedibile schematismo del crescendo, sovversivo e brutale, quasi efferato nell’algida (s)compostezza che lo innerva. Il limite valicabile è quello della canzone in sé, del rock in sé, della musica-da-film in sé. L’obiettivo dichiarato è spostarsi oltre, scavare, scavalcare, inerpicarsi su pendii scoscesi all’inverosimile: in un gorgo di ribollente ossessività, nei 18 minuti e mezzo della title-track affiorano pulsanti e vive vestigia degli inarrivabili CCCP di fine carriera (quelli di “Maciste contro tutti” e molto altro), preludio alla cateratta di suoni in collasso libero che sommergono gli sparuti accenni di una normalità respinta sul nascere. Album ineffabile che si agita nevrotico, predica spiritato, collassa in una nebulosa di elettricità polverizzata, “Monrovia” è manifesto apolide che mastica e risputa ogni lingua e nessuna lingua, soundtrack di un’apocalisse prossima ventura. Adesso come adesso, la parte per il tutto: get ready for the future, it is murder. (Manuel Maverna)