recensioni dischi
   torna all'elenco


MAGASIN DU CAFE'  "Landscape"
   (2018 )

I Magasin du Café danno alle stampe un primo album pieno di spunti e atmosfere originali e accattivanti, che presenta quattordici brani strumentali e ad ampio respiro che attraversano ogni umore e sfumatura, otto dei quali inediti. Originalità, commistione di generi e sperimentazione sono le parole chiave di ''Landscape''.

Una line-up formata da quattro elementi (Luca Allievi, Mattia Floris, Davide Borra, Alberto Santoru), tante citazioni fini e mai scontate (a Edith Piaf, Charlie Chaplin, Bach), un corpus di brani notevole e un talento musicale evidente: le carte in tavola ci sono e le premesse che questo disco d’esordio potesse risultare interessante c’erano sin da subito. E le attese non sono state deluse. Il disco parte con l’omonima “Landscape”, un paesaggio sonoro emozionante, che crea un filo rosso rintracciabile anche in “Espana”, “Jamborie”, “Improptu”, pezzi da colonna sonora, meditati e arrangiati in maniera raffinata e concisa. Ci sono atmosfere da world music, suoni globali, cadenze spagnoleggianti, flamenchi sognanti, come “Swing Gitan”, la stessa “Espana”, abbellite entrambe da chitarre splendide e percussioni strepitose, e non mancano momenti più lenti, riflessivi e filosofici, come la preghiera folk di “Petralia”, che ha come protagonista un synth con l’effetto della fisarmonica, un tango dolcissimo che obnubila l’ascoltatore. “Serendipity” è un gioiellino pop che però trasuda qualcosa di jazz e di avant-garde, e ricorda – non poco – qualche episodio del progetto zorniano con The Dreamers.

Le atmosfere che si rincorrono e susseguono in ''Landscape'' sono molto diverse tra loro, e a volte lo sono anche all’interno della stessa canzone: si pensi, ad esempio, a “Cantata 147”, prima un trionfo rockeggiante, poi una marcia dal vago sapore medievale, e a “Lord of the Dance”, che ha qualcosa di pinkfloydiano e di vicino al revival folk anni Duemila. “Rain” è invece un pezzo malinconico e nostalgico, pieno di lontananza e vuoti, difficili da colmare e impossibili da descrivere se non attraverso un arpeggio di chitarra lento e vago: il risultato è davvero notevole. Chiude l’opera “Ninna Nanna Leon”, una dolcissima dichiarazione di affetto e di speranza, modulata in maniera raffinata e sincera, che dimostra ancora una volta quanto questo disco d’esordio dei Magasin du Café sia variegato, originale e – in ultima battuta – godibilissimo. (Samuele Conficoni)