recensioni dischi
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ERIO  "Inesse"
   (2018 )

Il mondo interiore di Erio è zeppo di sensazioni magmatiche e ossessioni, musicalmente stilizzate nel nuovo lavoro "Inesse". Undici pezzi dove la voce dell'autore, spiccatamente soul, incontra un'elettronica impazzita, fatta di impulsi percussivi rapidissimi, eppure statica, non ballabile. I due elementi principali, voce e batteria elettronica, sono affiancati anche qua e là da archi, chitarra acustica e fiati, ma è tutto strutturato in maniera da apparire destrutturato; frammenti di suoni dispersi, come nell'esplorazione dell'inconscio. L'influenza di Bjӧrk è palpabile sopra questi beat da hip hop decontestualizzati. Oltre all'utilizzo di pitch abbassato e alzato come in "The biggest of hearts", una scelta prediletta da Erio è quella delle armonizzazioni di testa (volgarmente chiamato falsetto), abbondanti in "Limerence". La scelta di mettere in primo piano voce e percussioni, lasciando gli strumenti armonici a suonare con parecchie pause, rende il disco una conversazione con il silenzio, anch'esso elaborato. Ad esempio, in "Se', I'm hungry. Those twelve days still linger on", che è l'unico episodio senza elettronica, i suoni nelle pause sfumano più velocemente del normale, i silenzi sono innaturali e raggiungono lo straniamento desiderato. I pesanti bassi di "Becalmed" sono anticipati da biascichii vocali: l'interiorità non è solo psicologica ma anche fisica. L'intenzione ossessiva di rappresentare in suoni i neuroni, le sinapsi in funzione, l'elettricità che attraversa il corpo e la sua consistenza cellulare, sono tutte cose rese esplicite dalla batteria "rotta" di "Kill it! Kill it!", e ancor di più dal suo videoclip, che indugia da vicinissimo sulla pelle, sui peli ed i pori del corpo umano. Se siete abbastanza sensibili potete avvertire prurito. "The glorious advance of the self-pitying queen" è uno dei brani più emblematici, che si sviluppa in un acceso dialogo tra elettronica e sax, con ausilio della viola che esegue un tema solitario, non appoggiato dagli altri, mentre il kick, che sembra rappresentare il battito del cuore, a volte lo manda in tachicardia con improvvise accelerate, sempre scollegate dal resto. Anche "Brief history of Se' and Fa'" crea questi confusionari giochi, con il supporto pure di note di chitarra elettrica. Qui, e in "To the warehouse", la voce ricorda alcune fra le più inquietanti fasi dei pezzi meno noti dei Moloko, nell'album "Things to make and do". In "To the warehouse" è notevole il pianoforte, che segue il flusso di coscienza del pezzo. D'altronde, flussi di coscienza lo sono quasi tutti i pezzi: è difficile afferrare dei ritornelli. "Attic" è l'unica canzone dal ritmo regolare, almeno fino a metà, poi anch'esso si polverizza. Elemento sempre degno di nota sono le incisioni di cori. Infine "The church" crea un'atmosfera spirituale sincretista, dove Erio esegue diversi vocalizzi vagamente orientali ma senza approdare in cliché. Un po' dei Sigur Rós emerge da quest'ultimo pezzo, di certo uno dei riferimenti principali dell'artista. Al momento resta difficile incasellare l'originalità di Erio, senz'altro uno da tenere sott'occhio per la vena psicanalitica delle sue composizioni. (Gilberto Ongaro)